Non bastasse Berlusconi a mettersi di traverso sulla resa incondizionata della Meloni all’escalation bellica di Biden e Zelensky contro Mosca, anche la Lega ieri è tornata a smontare le promesse della premier a Kiev, ribadendo che fornire nuove armi all’Ucraina rischia di trascinarci in una guerra con la Russia. Parole di buon senso, che però scavano un nuovo solco nei rapporti tra i partiti delle destre.
Certo, in un Paese normale, divergenze così ampie in politica estera imporrebbero un chiarimento politico della maggioranza in Parlamento – e c’è da augurarsi che almeno i Cinque Stelle la pretendano – ma qui di normale c’è poco e niente, e poi mancano poche settimane alla grande abbuffata delle poltrone delle partecipate pubbliche. C’è da spartirsi il potere che conta, insomma, e quindi si passa sopra a tutto il resto.
D’altra parte, persino più impresentabile è l’atteggiamento del Pd, un partito sedicente pacifista che vede sfidarsi per la segreteria due contendenti entrambi favorevoli all’invio di dispositivi militari a Kiev, esattamente come la premier. Perciò ieri i dem si sono affrettati ad attaccare il Carroccio, accusandolo di guardare a Putin, quando spezzare la catena della guerra che chiama altra guerra vuol dire guardare ai nostri di interessi, che non sono esattamente quelli di Washington e di un presidente a cui questo conflitto fa comodo per giustificare la sua nuova candidatura alla Casa Bianca.