L’assoluzione di Ignazio Marino in Cassazione con la formula “il fatto non sussiste” è una notizia sicuramente buona per il professore, ma del tutto ininfluente per il politico ex sindaco di Roma. Contrariamente a quanto ancora adesso si racconta, il primo cittadino non perse la poltrona per le spese con la carta di credito del Comune ma per il dissolvimento del suo partito sul territorio, travolto dallo scandalo di Mafia capitale scoppiato poco meno di un anno prima.
L’accusa di aver abusato del denaro pubblico servì come alibi per far saltare quel sindaco definito “marziano” dentro lo stesso Pd, inviso ai renziani in quel periodo lanciati nell’occupare ogni spazio di potere, e senza fare prigionieri. Una battaglia politica, insomma, sulle macerie di una città che si vedeva sbattere in faccia un sistema di corruzione diffuso dagli amministratori pubblici all’apparato burocratico, passando per quella terra di mezzo in cui spadroneggiava la criminalità organizzata.
Presi come siamo a criticare per ogni cosa la Raggi e i 5 Stelle, ci si dimentica il disastro nella gestione dei rifiuti dopo decenni di monopolio privato, l’azienda degli autobus sul punto di fallire, le casse pubbliche vuote e con un debito di 13 miliardi affidato a un commissario. E dire che oggi registriamo gli incendi dolosi di impianti e cassonetti, prova di un livello criminale che non tratta più con la politica, la società dei trasporti salvata in concordato e la messa in sicurezza del debito. Sono questi i veri scontrini per cui paga Marino; non quelli fatti per due cene, ma quelli non fatti per salvare Roma.