Quanti sacrifici fanno gli italiani per la casa. E in quanti guai si infilano i politici per un tetto affittato a due euro dallo Stato o comprato con modalità anomale e senza averne i soldi. L’ultimo di una lista che va da Claudio Scajola alla Trenta, è Matteo Renzi, che secondo un’inchiesta di Emiliano Fittipaldi sull’Espresso si sarebbe fatto prestare centinaia di migliaia di euro dagli stessi amici facoltosi che gli hanno finanziato – pure qui generosamente – l’attività di partito attraverso la Fondazione Open.
Ora sia chiaro che ricevere un prestito non costituisce reato, così come incassare donazioni regolarmente registrate, ma la scoperta di questo nuovo passaggio di denaro si intreccia inevitabilmente nell’opacità dei finanziamenti alla politica evidenziati dall’inchiesta della Procura di Firenze sul tesoretto affidato soprattutto da grandi aziende alla cassaforte dell’ex premier gestita dall’avvocato Alberto Bianchi. Secondo quello che un tempo si auto-definiva rottamatore, l’azione della magistratura che ha indagato o perquisito suoi fedelissimi – dall’imprenditore Marco Carrai al finanziere Davide Serra – è il segno di una particolare attenzione delle toghe (di alcune in particolare) nei suoi confronti e una ferita alla democrazia.
Parole che per l’associazione nazionale magistrati suonano come una minaccia, ma in realtà è la vicenda nel suo complesso a svelare un pericoloso fuoco sotto la cenere. Fuoco che va dalla riforma della Giustizia del ministro Alfonso Bonafede appesa a un filo, al rapporto mai pacificato tra politica e magistratura (c’è chi non ha rinunciato a pretendere la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici), fino alle differenti interpretazioni sulle erogazioni e l’utilizzo dei soldi dati alle Fondazioni di partito (Alemanno in primo grado c’è stato condannato).
Dopo quello che è saltato fuori nella vicenda Palamara, con le manovre di politici – guarda caso l’ex ministro Luca Lotti sempre vicino a Renzi – la distanza tra questi due mondi resta moltissima. Ma non è strillando contro le toghe che fanno il loro lavoro – sul quale ci sono mille strumenti di difesa – che ci si auto-assolve, per di più minacciando querele invece di spiegare.