Ma dateci almeno panem et circenses! Nell’antica Roma si faceva così per consolare la plebe. E ora che siamo tutti terrorizzati dal Coronavirus e dagli effetti devastanti sull’economia, trasmettere in chiaro le partite di pallone non è solo un gesto di generosità. I contratti televisivi, le norme e la burocrazia invocati da chi fino a ieri si è opposto, sono pretesti sconsiderati. Il calcio è lo sport nazionale malgrado il business ne abbia comprato in parte la poesia, e se perdere i diritti di qualche giornata costerà qualcosa, rafforzare il legame con le tifoserie e tutto il pubblico sportivo pagherà nel tempo molto di più. Vedremo se i dirigenti della Federcalcio (nella foto il presidente Gabriele Gravina) e i club capiranno, aiutando milioni di persone a capire sul serio che qualcosa intorno a noi sta cambiando. Le regole di maggiore accortezza nell’evitare contatti tra le persone sono molto dibattute ma poco applicate. Gli studenti non vanno a scuola ma si vedono in locali persino più affollati la sera, salutarsi con la stretta di mano è un gesto condizionato, tenere una certa distanza tra le persone spesso è un’illusione. Insomma, l’epidemia fa paura a tutti, ma ancora pochi sono disposti a cambiare stile di vita. Certo, Dalla canterebbe che “si esce poco la sera, compreso quando è festa”, e di sicuro non si va nei ristoranti che per paradosso fanno la fame, ma sembriamo tutti immersi in una bolla, sperando che faccia caldo o per chissà quale miracolo questo incubo finisca. Il calcio non faccia finta di niente, e non manchi questo gol a porta vuota, regalandoci per qualche settimana almeno la consolazione delle partite.
L'Editoriale