L'Editoriale

Il codice genetico del governo

Servirebbe un governo che non consideri la violenza di genere come una fatalità biologica o una questione “laterale”.

Il codice genetico del governo

Possono lucidare la vetrina quanto vogliono: gli atlantici di cartapesta, i conservatori che si fingono illuminati, perfino i progressisti dell’ultima ora. Ma ogni volta che i ministri del governo provano a parlare di violenza contro le donne, la maschera scivola. È successo ancora alla Conferenza internazionale contro il femminicidio, dove Carlo Nordio ha spiegato che nel “codice genetico” maschile ci sarebbe una resistenza alla parità, un retaggio millenario difficile da estirpare, evocando addirittura psicologi e ipnotisti per “correggere” questa tara.

Accanto a lui, Eugenia Roccella ha rincarato sostenendo che non esiste correlazione tra educazione sessuo-affettiva e calo dei femminicidi, citando la Svezia come esempio e ignorando – come ha fatto notare la responsabile scuola del Pd Irene Manzi – che il tema richiede dati seri e contesto. Per Roccella si può parlarne “lateralmente”, purché non si insista sul ruolo della scuola. Come se il punto fosse proteggere un pregiudizio, non proteggere le donne. 

Davanti a dichiarazioni simili non c’è cerimoniale che tenga. C’è Chiara Appendino che ricorda il curriculum recente del Guardasigilli: “Dopo aver demolito la giustizia, garantito impunità ai soliti noti, liberato uno stupratore di bambini e preso a modello Gelli, Nordio ci regala un’altra perla. La prossima sarà propagandare Lombroso? Se questo è un ministro…“. C’è Angelo Bonelli che saluta l’arrivo nel “Medioevo“, perché un governo che dice che la parità non entra nel Dna e che l’educazione sessuale non serve non sta sbagliando una frase: sta dichiarando il proprio paradigma. E c’è Maria Elena Boschi che definisce tutto “imbarazzante”, perché di questo si tratta: un lessico che degrada, banalizza, arretra. 

E allora la provocazione è semplice: prima ancora delle norme, dei protocolli e delle panchine rosse, servirebbe un governo che non consideri la violenza di genere come una fatalità biologica o una questione “laterale”. Perché nessuna politica pubblica può nascere da ministri che parlano come se la parità fosse un incidente storico e la cultura non servisse a nulla. Qui non è questione di scivoloni: è la natura che riaffiora ogni volta che provano a nascondersi. E tutti la vedono.