L'Editoriale

Il disastro sull’Expo è del governo

La premier Meloni che nel discorso di insediamento del suo esecutivo aveva promesso di darsi da fare per portare in Italia l'Expo esce linda come un giglio.

Il disastro sull’Expo è del governo

E pure questa volta è colpa della Raggi. C’era da farsi due risate, se non ci fosse da piangere, per come i giornali hanno raccontato ieri la sonora bocciatura di Roma nella corsa ad ospitare l’Expo del 2030. La nostra Capitale è stata stracciata da Riad, ma anche dalla coreana Busan, snobbata persino da diversi Paesi europei. Un disastro perché su questo evento l’intero sistema Italia aveva riposto molte aspettative.

Esattamente come l’Arabia Saudita, che è scesa in campo con tutto il peso del suo governo e delle fortune petrolifere che si ritrova. Tant’è vero che a partire dal Corsera tutti hanno riconosciuto il successo diplomatico del leader della monarchia saudita, il principe ereditario Mohammad bin Salman. D’altra parte, la scelta della sede dell’Expo è sempre stata una partita tra Stati, e non tra sindaci e sottopancia.

Ma la stampa italiana, così accorta nel non scivolare sulla propria bava per il governo di Giorgia Meloni, nella categoria degli sconfitti non ha messo Palazzo Chigi – giammai – ma il primo cittadino capitolino, il Pd Roberto Gualtieri. Dunque, la premier che nel discorso di insediamento del suo esecutivo aveva promesso di darsi da fare per portare in Italia l’Expo esce linda come un giglio. Allo stesso modo del presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca (FdI), che al pari della Meloni non si è neppure presentato a Parigi alla votazione decisiva.

Così tutta la colpa è scaricata sul Campidoglio, dove però i dem – che lo guidano – di amici nei giornali ancora ne hanno. Che fare allora? A chi altri gettare la croce addosso? Ma certo: si tiri fuori la Raggi, e pazienza se non è più in carica da due anni. Un’idea astuta subito rilanciata dal ministro degli Esteri, Tajani, altro grande sconfitto sulla partita dell’Expo, che ha girato la frittata affermando che la figuraccia italiana è figlia del no deciso dall’allora sindaca Raggi alla candidatura per le Olimpiadi.

Una scelta che in realtà aveva preso il governo Monti (sostenuto pure dal partito di Tajani) e del tutto logica in un Paese che all’epoca era sotto attacco della speculazione finanziaria internazionale. Al punto da dover tagliare le pensioni. Mentre Roma faceva ancora i conti con l’inchiesta di Mafia Capitale, poi finita nel processo al cosiddetto Mondo di mezzo, che accertò un vasto sistema di corruzione, condannando politici, colletti bianchi e delinquenti di strada. Tutta gente che in quel momento gestiva ogni affare nella città, e a cui la Raggi ha impedito di riempirsi ancora di più le tasche con i soldi pubblici. Tutte cose che a Tajani e a certa stampa interessano poco, tanto loro la medaglia olimpica nello sparare accuse a vanvera ce l’hanno già.