L'Editoriale

Il potere che si piega a Denis

Il potere che si piega a Denis

Diciamolo subito: niente mi è più distante del giustizialismo, inteso come giudizio sommario di chicchessia. Le garanzie di cui godiamo come cittadini sono un patrimonio di civiltà è non ho mai nascosto che in un sistema malato come il nostro non è impossibile che anche i tribunali sbaglino. Però, per dirla alla Totò, ogni limite ha la sua pazienza, e vedere leader e galoppini di partito in fila per baciare la pantofola a un condannato fino in Cassazione mi pare veramente troppo.

L’assembramento di parlamentari nella cella di Denis Verdini, nel carcere romano di Rebibbia, non c’entra più niente, infatti, con il gesto di umano conforto per un recluso, ma testimonia una plateale sottomissione della politica più becera a chi in un Paese civile dovrebbe essere ermeticamente tagliato fuori dall’esercizio, o anche dalla sola ostentazione, di qualunque forma di potere. Salvini, Renzi e un lungo elenco di rappresentanti delle istituzioni di cui diamo conto nelle pagine interne del giornale, invece non si sono posti affatto questo problema, e in carovana vanno e vengono dalla nuova residenza dell’ex stratega di Berlusconi.

Da tutti loro sarebbe bello conoscere che altro di disonorevole deve fare un politico per perdere la considerazione di cui gode ancora Verdini. Ma questo non c’è dato sapere. Colpevole di bancarotta, con un elenco lungo una quaresima di processi ancora aperti o finiti in prescrizione, Verdini dovrebbe essere additato come l’esempio di quello che un politico non deve fare, e non come un mammasantissima da cui ricevere la benedizione. In un Paese civile…