L'Editoriale

Il vero record italiano sul Pnrr

La Procura europea (Eppo) conta 179 indagini in Italia sui fondi del Pnrr a fine 2023, su 233 totali del Recovery europeo.

Il vero record italiano sul Pnrr

La Procura europea (Eppo) conta 179 indagini in Italia sui fondi del Recovery a fine 2023, su 233 totali legate al Rrf. Sono fascicoli, non sentenze, ma bastano a incrinare la narrazione del governo: le rate arrivano, i controlli arretrano. La centralizzazione a Palazzo Chigi e la “semplificazione” degli appalti hanno accelerato la spesa; hanno anche aperto varchi a irregolarità che oggi esplodono nelle procure. È questo il punto: l’architettura scelta per correre ha ridotto la trasparenza lungo la filiera, mentre la dimensione del piano italiano (circa 194,4 miliardi) massimizza l’esposizione ai rischi.

Chi governa ripete che “sono solo indagini”. Vero, ma il loro volume è indicativo della vulnerabilità del sistema. L’Italia ha il Recovery più imponente d’Europa, quindi più progetti e più controlli; e tuttavia la sproporzione non si spiega con la sola scala. L’Eppo apre fascicoli quando intercetta indizi su appalti distorti, rendicontazioni gonfiate, catene di sub-affidamenti opache, autoriciclaggio: segnali tipici di una spesa che privilegia l’adempimento formale. Il modello a milestone spinge a chiudere step amministrativi più che a validare costi e risultati; la Corte dei conti europea ha già richiamato l’attenzione su presìdi insufficienti, su aiuti di Stato e contratti pubblici. È il motivo per cui, mentre l’Italia incassa regolarmente le rate, in parallelo crescono i sequestri, le perquisizioni e i procedimenti su digitalizzazioni fantasma, efficienze energetiche gonfiate, consulenze fotocopiate. Non è un incidente statistico: è il segno di un ecosistema amministrativo dove deroghe, urgenze e catene di comando accorciate hanno reso più conveniente il rischio d’abuso rispetto alla probabilità di essere scoperti.

Dalla fine del 2023 la cabina di regia è stata assorbita a Palazzo Chigi con la promessa di “mettere in sicurezza” il piano. La traduzione operativa è nota: più commissari, procedure accelerate, maggior spazio al subappalto nel nuovo Codice dei contratti, obblighi di pubblicità alleggeriti, piattaforme pubbliche che non consentono ancora il tracciamento completo dei beneficiari finali. La “velocità” è diventata un fine in sé. Quando emergono le inchieste, la colpa ricade sui furbi locali; ma i furbi prosperano dove la politica tratta la trasparenza come un intralcio e l’Anac come un soprammobile. Blindare davvero il Pnrr significava pubblicare integralmente contratti e varianti, rendere tracciabili pagamenti e subappalti fino all’ultimo fornitore, rafforzare gli audit ex ante, dotare gli enti attuatori di personale stabile e competenze tecniche. Invece la retorica della «semplificazione» ha sostituito l’idea di controllo, e il controllo è rimasto il parente povero della governance.

Il governo rivendica i risultati: obiettivi spuntati, tranche erogate, cantieri avviati. È giusto, ma insufficiente. La domanda politica non è quante rate si incassano, bensì quanta spesa produce valore misurabile e quanto è robusta la diga contro frodi e rendite. Oggi il dato sulle indagini non certifica colpe ma certifica un rischio di sistema. Se l’esecutivo vuole invertire l’immagine di un Paese esposto, deve cambiare postura: meno comunicati trionfali, più tracciabilità, open data completi su affidamenti e sub-affidamenti, poteri e risorse a chi controlla, supporto vero agli enti che eseguono. Finché questo cambio non avverrà, quei 179 fascicoli peseranno come giudizio politico sulla gestione del Pnrr, più ancora che come vicenda giudiziaria.

Un’ultima evidenza: il confronto con gli altri Paesi aderenti all’Eppo mostra che dove i dati sono granulari e i registri dei titolari effettivi restano accessibili, le anomalie vengono intercettate prima. L’Italia deve allinearsi agli standard più alti: anagrafe unica dei contratti, cronologia pubblica delle varianti, tracciabilità dei subappalti, sanzioni automatiche su ritardi e scostamenti, audit ex ante sulla qualità dei risultati e non solo sugli adempimenti. La propaganda resiste un ciclo mediatico; i buchi di controllo restano negli atti e, alla lunga, nel debito. È lì che si misura la responsabilità di governo.