L'Editoriale

La Carta fatta a pezzi

La destra va avanti sulla separazione delle carriere senza confronto con le opposizioni, senza capire che se tocchi la Carta devi farlo col massimo del consenso.

La Carta fatta a pezzi

Se prendi più voti alle elezioni, vinci. Se vinci, decidi. È la logica – semplice e immediata – che ha guidato la destra, da quando ha raggiunto il “potere”. E così ha governato a colpi di fiducia e di decreto. Ma quella logica lì, quella del più forte che comanda, quella che azzera la dialettica parlamentare, quella che trasforma Camere e Senato in “votifici”, non può essere adottata anche quando ti accingi a cambiare la Costituzione. Il testo sacro di ogni Paese civile, perché la Carta Costituzionale è l’ossatura della convivenza democratica.

Sfortunatamente al/alla premier Giorgia Meloni questa consapevolezza sfugge. Come sfugge all’ex magistrato e ora ministro, Carlo Nordio. Così la tanto agognata (da Nordio ora, da Silvio Berlusconi prima di lui e da Licio Gelli, ancora prima) riforma della separazione delle carriere dei magistrati approderà al Senato senza che sia avvenuta un’esaustiva e completa discussione tra maggioranza e opposizione, nemmeno in sede di Commissione Affari costituzionali. Una riforma costituzionale orfana persino del relatore, perché bisogna fare in fretta.

I senatori hanno potuto discutere soltanto gli emendamenti agli art. 1 e 2 del testo e i primi 150 dell’art 3. Poco più di 250, sui 1.363 emendamenti depositati. Un’inezia. E un pericolo. Perché ogni emendamento (promosso o bocciato) può potenzialmente influire sulla vita di ogni cittadino italiano.

Ma a Meloni & Co. questo concetto basilare, che si impara alla seconda lezione di diritto costituzionale, sfugge. Probabilmente qualcuno avrebbe addirittura preferito cambiare la Carta con un bel decreto legge, così non si sarebbe perso tempo. Sfortunatamente la Costituzione non lo permette. Per ora…