Può darsi che qualcuno ricordi quando Mario Sechi, con eroico sprezzo del ridicolo per il salto istantaneo da portavoce della Meloni a direttore di Libero – cioè la stessa cosa – definiva la premier una star internazionale. Era l’8 ottobre scorso e Mario nostro dalla Gruber diceva, serio, che i capi di Stato fanno a gara per parlarle, perché – era il succo – grazie al suo governo l’Italia conta nel mondo.
Poi ieri si è votato per decidere dove fare l’Expo 2030 e Roma ha preso meno voti di Busan, che pure quelli bravi in geografia non sanno dove sia. Ora lasciamo perdere la propaganda di Santa Giorgia protettrice delle poltrone, ma la débâcle sull’Expo è un disastro per la nostra Capitale, e non solo. Roma è la città che da anni sta soffrendo per la crisi dei suoi pilastri economici: i dipendenti pubblici e il mattone.
Nel primo caso i guai partono da lontano, sin dall’ingresso dell’euro, quando è finita la tradizionale capacità di risparmio dei travet. Addio così a una grossa fetta di consumi. La frenata dell’immobiliare e la caduta dei cosiddetti palazzinari, cioè quasi tutti i costruttori, ha fatto il resto. Perciò c’era disperatamente bisogno di questo evento, che peraltro a suo tempo risollevò Milano e a cascata tutto il sistema Paese. Tant’è vero che la stessa Meloni nel discorso di insediamento a Palazzo Chigi aveva promesso tutto il suo appoggio per conquistare il consenso necessario.
Una promessa tradita, come mille altre, ma con l’aggravante di non averci messo nemmeno la faccia, al punto di non essere neppure andata ieri a Parigi per la spinta finale. Una diserzione alla quale si è associato il governatore del Lazio, Rocca. I giornali del nuovo Istituto Luce, cioè Sechi & C. oggi ci racconteranno che la premier aveva di meglio da fare, tipo assicurarsi la firma della quarta rata del Pnrr.
Soldi che Fratelli d’Italia neppure voleva quando l’allora Presidente del Consiglio, Conte, riusciva a mettere d’accordo sul serio tutti i leader europei. Per i trombettieri delle destre nei giornali quei soldi erano prestiti inutili, e di certo mai nessuno ha definito Conte una star internazionale. Ma capiamoli: qui di Star c’è solo il brodo e certi giornalisti bolliti nelle loro chiacchiere.