A quanto pare, non si può fare a meno di occuparsi del generale Vannacci, personaggio fino a qualche giorno fa sconosciuto agli italiani e tra non molto destinato a tornare ignoto. Se ne parla come di un ufficiale abile nel suo mestiere, e in effetti senza sparare un colpo ha fatto saltare il fronte delle destre, dividendone le truppe.
La miccia è stata un libro zeppo di concetti omofobi e razzisti, in palese contrasto con la Costituzione del Paese che il militare ha giurato di difendere. Non proprio “L’arte della guerra”, ma l’opera è bastata a scatenare un vespaio, costringendo l’area più istituzionale di Fratelli d’Italia e degli alleati al governo a condannare il testo, mentre la pancia populista, negazionista e fascista della stessa coalizione ne sta santificando le pagine, issate a vessillo del rifiuto di un presunto pensiero unico di sinistra.
Cosa ci sia di originale in un cumulo di luoghi comuni non è dato sapere, ma insieme al fenomeno mediatico si è innescato un regolamento di conti nel partito della Meloni, dove è finito impallinato il ministro Crosetto, colpevole di aver avallato il trasferimento di Vannacci.
La vicenda è diventata così un caso politico, e soprattutto una perfetta bolla di sapone su cui spostare i riflettori per far sparire i fallimenti dell’Esecutivo. In questo modo finiscono in secondo piano i Comuni che non sanno dove mettere i migranti, la patrimoniale in atto sulla benzina, l’autunno caldo alle porte dopo la cancellazione del Reddito di cittadinanza e lo stop al salario minimo. Più che Vannacci, c’è da dire… li mortacci!