L'Editoriale

La Tv democratica non è folle

Per quanto l’ex premier Mario Monti abbia rettificato, l’idea di selezionare “in modo meno democratico” chi fa informazione è indigeribile.

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La Tv democratica non è folle

Per quanto l’ex premier Mario Monti abbia rettificato, l’idea di selezionare “in modo meno democratico” chi fa informazione è indigeribile. Il controllo dei media è la condizione naturale nelle dittature, e in Italia pur con tante tv e giornali, la grande stampa è in mano a pochi gruppi industriali e finanziari, o ad editori collegati con questi, mentre il servizio pubblico da sempre ufficiosamente lottizzato, adesso è spartito in modo ufficiale, come ha candidamente ammesso l’Ad della Rai, Carlo Fuortes, nell’ultima audizione in Commissione di vigilanza, ammettendo di aver sentito i partiti prima di procedere alle nomine dei nuovi direttori (leggi l’articolo).

Dunque lasciamo stare la democrazia, che ha già i suoi problemi, ma se parliamo di opportunità e lungimiranza non c’è dubbio che il sistema della comunicazione nel suo complesso ha preso una tangente preoccupante e dagli effetti disastrosi. Nei programmi più seguiti, si esibiscono personaggi sempre più improbabili, con abbigliamento, capigliature e volgarità da baraccone, con zero cultura e senza niente da raccontare, ma che così diventano modelli per tanti loro coetanei.

Dalla tv di Stato a quella commerciale – che poi se ci confondessero i numeri del telecomando faremmo fatica a distinguere – è un proliferare di corpi rifatti, pensieri deboli, gusti sessuali, soprattutto se non etero, gettati in pasto al pubblico, con l’unico obiettivo di fare ascolto, e così avere il premio di apparire ancora gentilmente offerto da chi tira le fila di questa televisione spazzatura. Cosa c’è da meravigliarsi, allora, se lo schermo fa diventare credibili e di riflesso capipopolo degli autentici mitomani, che gridano contro i vaccini perché così gli ha detto in sogno la Madonna?

Più che di metodi meno democratici, la nostra informazione ha bisogno di dirigenti responsabili e giornalisti seri, che la smettano di costruire le loro trasmissioni con l’ossessione dello share, ma corrano il rischio di perdere gli ascoltatori in cerca dello show, per riprendersi alla lunga quelle persone che invece vogliono conoscere i fatti, senza bisogno di montarci attorno gli spettacolini da circo di polemisti a prescindere e misere maschere spacciate per attori.