L'Editoriale

Le concessioni sono solo l’inizio. Ora il Paese può cambiare

A prendere sul serio quello che si dice su tutti i canali tv, l’Italia è spacciata. Nessuno è stato aiutato, a settembre ci saranno milioni di licenziamenti, e ovviamente il Governo dorme. Morale della favola: votate Salvini con Berlusconi e la Meloni, che toglieranno le tasse, ci libereranno dagli immigrati che rubano il lavoro agli italiani e tutti vivremo felici e contenti. Se però non crediamo agli asini che volano, è tutto un altro scenario quello che abbiamo di fronte. In un Paese con regole bizantine, indebitato da decenni di politiche di manica larga, per non parlare delle ruberie, mai si era fatto tanto per le fasce sociali più deboli, e mai si era messo con le spalle al muro il sistema come sta avvenendo con la concessione delle autostrade.

Per la propaganda delle destre, con il seguito dei loro giornalisti parolai, tutto questo è troppo poco, così come sono sempre pochi i miliardi erogati dall’Inps ai lavoratori autonomi e a chi è finito in cassa integrazione, sono pochi i miliardi che sta erogando il sistema bancario grazie alla garanzia pubblica, ed è poco il contributo a fondo perduto già accreditato alle imprese. Per chi ha un minimo di memoria e altrettanta onestà intellettuale non sarà difficile ricordare che storicamente in tutte le situazioni di crisi – terremoti, alluvioni o cicliche fasi di recessione – lo Stato ha sempre messo le mani in tasca agli italiani per prendere e mai per dare. Ma il livello delle opposizioni italiane è quello che è.

Prendiamo ad esempio gli Stati Generali dell’economia dove erano state invitate a dare un contributo di idee al Governo. Dopo aver frignato che la sede di Villa Pamphilj non gli piaceva, non si sono presentate per poi lamentarsi di non essere stati ascoltate. Il premier Conte allora le ha invitate di nuovo, e a quel punto la Lega ha risposto di averci ulteriormente ripensato e non andrà, Fratelli d’Italia ha accettato ma a condizione di trasmettere l’incontro in streaming e Forza Italia aspetta ancora ordini dai soci maggiori. Basterebbe questo per certificare quanto dobbiamo tenerci caro un Esecutivo che invece ha varato due manovre finanziarie gigantesche, si è dato da fare per non lasciare indietro nessuno e per trovare i soldi che ci servono in Europa.

Dove la maggioranza giallorossa, con tutte le sue contraddizioni e difficoltà interne, sta segnando però il gol decisivo è nell’affermare dopo decenni che lo Stato non è più il garage dei poteri forti, e per lor signori la pacchia è finita. Si comincia entro domani con i Benetton, che non sono più brutti e cattivi di altre decine di (im)prenditori privilegiati dalle privatizzazioni folli benedette da politici e lobby al loro servizio. Al momento non c’è ancora una decisione, ma a meno di sorprese le strade rimaste sono due. La prima prevede che i Benetton cedano il controllo di Autostrade per l’Italia o della holding Atlantia alla Cassa Depositi e Prestiti e al Fondo strategico pubblico F2i.

In questo modo parte dei proventi della rete viaria torneranno alla collettività, che garantirà anche le manutenzioni e il livello delle tariffe. In alternativa, la società dei Benetton può resistere, farsi togliere la concessione e fare causa per questo allo Stato, sperando che le vada meglio di com’è finita due giorni fa alla Consulta, dove aveva tentato di invalidare persino il diritto del Governo di affidare la costruzione del nuovo ponte di Genova a un soggetto diverso da quello che l’aveva fatto cadere.

Questo contenzioso legale potrebbe durare anni, e alla fine dare pure ragione all’attuale concessionario, per via di un contratto di affido della rete autostradale che l’Anas firmò a suo tempo tutelando all’inverosimile il contraente privato anziché quello pubblico. In ogni caso all’ex ministra renziana Maria Elena Boschi, che ieri ha difeso apertamente la concessione ad Autostrade proprio per questo rischio di dover pagare risarcimenti miliardari, andrebbe ricordata una frase ripresa da Paolo Borsellino: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Ecco, qui sta la vera cifra di un Governo che non potrà piacere mai all’establishment, inserendo in tale categoria le Confindustrie e combriccole simili, oltre alla stampa apparentemente di opposizione e in realtà beatamente serva di un padrone.

Sotto la spinta non certo del Pd, ma decisamente del Cinque Stelle, un pezzetto alla volta si sta smontando una montagna di potere costruita sulla pelle degli italiani. Un gigante blindato da leggi scritte per fare gli interessi di Lor signori e non dei cittadini, difeso da parrucconi e giannizzeri fuori dal tempo, come quelli che solo pochi giorni fa hanno ripristinato i vitalizi per gli ex senatori. Un sistema inscalfibile, che nel caso dei Benetton è riuscito ad allungare il brodo per due anni, nonostante 43 morti a Genova e 40 ad Avellino, e tutt’ora minaccia di fare cause aggrappandosi a qualche furbizia legale. Perciò dal disastro del ponte Morandi è passato tanto tempo, ma alla fine indietro non si torna. E questo si chiama cambiare il Paese.