Con un ddl a sua firma composto, come allora, di un solo articolo: «Nei casi di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, delle testate giornalistiche online o della radiotelevisione, in cui risulta la mala fede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per il risarcimento del danno, il giudice, anche d’ufficio, con la sentenza che rigetta la domanda, condanna l’attore, oltre che alle spese di cui al presente articolo e di cui all’articolo 91, al pagamento a favore del convenuto di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore ad un quarto di quella oggetto della domanda risarcitoria». E come allora con la stessa finalità: “Un corretto e bilanciato sistema di protezione della professione di giornalista nei confronti di un uso strumentale dell’azione civile volto a frenare la libertà di espressione con iniziative vistosamente temerarie che agitano lo spettro di copiosi risarcimenti volti a tacitare la voce della libera stampa”.
Da Di Nicola a Lopreiato, sei anni dopo, la reincarnazione sotto il nome di Legge Ranucci torna all’esame del Parlamento. Ma con quali possibilità di vedere la luce? Poche o addirittura nulle. Nel 2019 fu affossata dai partiti che sedevano in maggioranza con i 5 Stelle. Oggi che i pentastellati sono addirittura all’opposizione le chance sono prossime allo zero. Il freno alla mannaia delle azioni legali contro i giornalisti sono un po’ come la solidarietà di certa politica al conduttore di Report dopo la bomba che avrebbe potuto ucciderlo. Un argomento buono da sostenere in pubblico per poi affossarlo nelle riunioni di Palazzo lontano dai riflettori. Senza neppure metterci la faccia.
Con un ddl a sua firma composto, come allora, di un solo articolo: «Nei casi di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, delle testate giornalistiche online o della radiotelevisione, in cui risulta la mala fede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per il risarcimento del danno, il giudice, anche d’ufficio, con la sentenza che rigetta la domanda, condanna l’attore, oltre che alle spese di cui al presente articolo e di cui all’articolo 91, al pagamento a favore del convenuto di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore ad un quarto di quella oggetto della domanda risarcitoria». E come allora con la stessa finalità: “Un corretto e bilanciato sistema di protezione della professione di giornalista nei confronti di un uso strumentale dell’azione civile volto a frenare la libertà di espressione con iniziative vistosamente temerarie che agitano lo spettro di copiosi risarcimenti volti a tacitare la voce della libera stampa”.
Da Di Nicola a Lopreiato, sei anni dopo, la Legge Ranucci torna all’esame del Parlamento per la meritoria iniziativa dei Cinque Stelle. Ma con quali possibilità di vedere la luce? Poche o addirittura nulle. Nel 2019 fu affossata dai partiti che sedevano in maggioranza. E oggi che i pentastellati sono all’opposizione le chance sono vicine allo zero. Il freno alla mannaia delle azioni legali contro i giornalisti è un po’ come la solidarietà di certa politica al conduttore di Report dopo la bomba che avrebbe potuto ucciderlo. Un argomento buono da sostenere in pubblico per poi affossarlo nelle riunioni di Palazzo lontano dai riflettori. Senza neppure metterci la faccia.