L'Editoriale

L’isolamento dietro gli slogan

Altro che centrale, con il governo Meloni l’Italia è sempre più isolata: ai margini e fuori dai tavoli che contano.

L’isolamento dietro gli slogan

Doveva essere la stagione della centralità. A Roma lo ripetono dal 2022, anno dell’insediamento del governo Meloni. Il 2025 doveva segnare il coronamento della strategia atlantista, l’anno in cui la premier avrebbe trasformato l’immagine di ponte in ruolo concreto. La realtà che emerge negli ultimi giorni racconta tutt’altro. La linea del potere occidentale si stringe attorno a chi dispone di capacità militare e affidabilità negoziale. E l’Italia osserva sconsolata da una distanza che nessun comunicato di Palazzo Chigi riesce a colmare.

Il 9 dicembre 2025, Emmanuel Macron, Keir Starmer e Friedrich Merz parlano per quaranta minuti con Donald Trump. I comunicati ufficiali lo descrivono come un “filo diretto” per coordinare la posizione occidentale nei negoziati sulla guerra in Ucraina. L’Italia resta fuori. Il giorno successivo, 10 dicembre, la premier partecipa a una sessione remota della coalizione dei volenterosi, mentre a Roma Volodymyr Zelensky la incontra a Palazzo Chigi. Una coincidenza che fotografa la distanza tra il cerimoniale e le decisioni effettive. A Londra, due giorni prima, Zelensky aveva discusso con gli stessi tre leader europei la bozza del piano di sicurezza da sottoporre a Washington. L’Italia non c’era allora e non c’era quando la discussione strategica è passata sul telefono di Trump.

La linea del potere che si stringe

La sequenza si allunga. Nel maggio 2025, a Tirana si riunisce il vertice dei principali sostenitori militari dell’Ucraina. Meloni non partecipa. Nello stesso mese, nel programma della futura coalizione tedesca, l’Italia scompare dalla lista dei partner strategici di Berlino. È un segnale che vale più dei toni concilianti usati poi dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. È la traduzione diplomatica di una sfiducia maturata nel tempo.

Il logoramento inizia prima. A dicembre 2023, la scelta italiana di bocciare la ratifica del Mes crea la prima crepa nel rapporto con Bruxelles. Che interpreta quel voto come una rottura unilaterale dopo mesi di negoziato comune. Da allora, ogni tavolo europeo misura l’Italia alla luce di quella decisione: partner utile quando serve consenso, partner incerto quando la discussione riguarda regole e impegni vincolanti.

Tra il 2024 e il 2025 si sommano gli elementi che complicano ulteriormente la posizione italiana. La spaccatura interna al governo sugli aiuti all’Ucraina diventa evidente a novembre 2025, quando la Lega blocca il dodicesimo decreto di supporto militare. Il decreto verrà ripresentato nelle ultime sedute del Consiglio dei ministri di dicembre, ma la tempistica non attenua la percezione esterna: l’Italia è un Paese che fatica a garantire continuità nelle scelte strategiche.

La linea del potere che si stringe

Sul versante atlantico si apre un altro fronte. La visita di Meloni alla Casa Bianca del 18 aprile 2025 viene celebrata come conquista di una relazione speciale con Trump. Le analisi successive, basate sui documenti della strategia di sicurezza americana, mostrano che Washington vede nell’Italia un potenziale punto di leva per indebolire la coesione europea. È una lettura che rovescia l’interpretazione data a Roma e alimenta la diffidenza nelle capitali dell’Europa occidentale.

Nel frattempo Bruxelles ridefinisce il proprio assetto. La nuova Commissione Von der Leyen entra in funzione nell’autunno 2024. La vicepresidenza esecutiva affidata a Raffaele Fitto all’inizio del 2025 appare più un ruolo di gestione che di indirizzo politico. Le tensioni legate al voto italiano contro la riconferma della presidente nel luglio 2024 restano sullo sfondo. L’Italia viene coinvolta nel perimetro dei dossier, non nella loro definizione strategica.

Fuori dai tavoli che contano

Durante tutto il 2025, la costruzione della difesa europea accelera. Dall’estate si discute di un piano di investimenti da centinaia di miliardi e dell’uso dei proventi degli asset russi congelati per finanziare la ricostruzione ucraina. L’Italia non guida alcun tavolo e si ritrova spesso nel gruppo dei paesi non allineati nelle riunioni tecniche del Consiglio. È un’assenza che pesa: chi non partecipa alla fase di scrittura non incide sulla fase di attuazione.

Alla fragilità geopolitica si somma quella economica. Dal giugno 2024 l’Italia è sotto procedura per disavanzo eccessivo. Il percorso di rientro imposto per il 2025–2026 limita la possibilità di investire in capacità militare reale e aumenta la dipendenza dai flussi del Pnrr. È un vincolo che emerge in ogni riunione informale dei ministri delle Finanze: chi deve chiedere margini difficilmente può rivendicare leadership nella ridefinizione degli strumenti europei.

Il risultato si condensa in questi ultimi giorni. L’Italia è presente nelle riunioni allargate, nei collegamenti da remoto, negli incontri bilaterali che servono a mantenere il protocollo. Ma nelle stanze dove si definiscono la sicurezza europea, il rapporto con Washington e l’architettura della difesa comune, la voce italiana non incide. In un dicembre in cui la storia accelera, la distanza tra partecipazione e influenza diventa visibile. È lì che si misura l’isolamento dell’Italia. E non bastano i monologhi di Giorgia Meloni.