L'Editoriale

Silvio Pellico si rivolta nella tomba

Visto che Carnevale arriva dopo le prossime regionali, per fare in tempo a mascherarsi da Silvio Pellico e rendere credibile il travestimento annunciando il rischio di finire in prigione, a Matteo Salvini non restava che spararsi sui piedi. La maggioranza, altrettanto in vena di scherzi, gli ha giocato un brutto tiro non presentandosi in Giunta per le autorizzazione a procedere, e così a dare il via libera alla richiesta dal tribunale dei ministri per la vicenda Gregoretti sono stati i componenti della Lega, peraltro in opposizione ai colleghi più coerenti di Fratelli d’Italia e Forza Italia.

Come in un gioco di specchi, dove nulla è come sembra, l’ex ministro che si dichiara colpevole solo di aver difeso i sacri confini nazionali, si manda a processo da solo, mentre Cinque Stelle e Pd, che vogliono veder fare alla giustizia il suo corso, non si pronunciano, lasciando ogni decisione al Centrodestra. Ma se questo processo non s’ha da fare salta lo spot per le elezioni, e con le piazze piene di sardine la vittoria non è poi così scontata. Perciò dove non arriva il sovranismo si passa al vittimismo – per dirla alla Di Maio – e si mostra agli elettori un martire, un eroe aggredito nell’adempimento dei suoi doveri. In questo modo Salvini ottiene anche altri vantaggi: tutta la vicenda fa diventare il voto in Emilia Romagna e in Calabria un giudizio su di lui – lo vogliamo libero o condannato? – sottraendolo al merito delle accuse che gli sono mosse.

Accanto a questo, si sottrae lo stesso voto alla naturale dimensione locale e lo si trasforma in un antipasto del voto nazionale, sfruttando la debolezza delle forze della maggioranza ammaccate dalla difficoltà di governare in condizioni economiche e sociali proibitive. In questa commedia degli equivoci, l’unica cosa certa è l’abitudine della Lega a fuggire dalla Giustizia, con l’eterno alibi delle toghe rosse delle Procure, da Palermo (caso Siri-Nicastri) a Milano (Rubligate), dei tribunali (Genova per i 49 milioni), del tribunale dei ministri (casi Diciotti e Gregoretti), persino della Corte costituzionale (definita solo pochi giorni fa vergognosa per aver bocciato il referendum elettorale). Troppi soggetti per un alibi che regga.