Non servirebbe ma in certi casi è bene farla una premessa: il circa 30% di elettori che oggi sembra orientato a votare Lega è composto nella quasi totalità da persone per bene, oneste e giustamente indignate per le ruberie della politica. Cittadini prevalentemente di un Nord operoso, che sanno chi paga il conto del saccheggio dello Stato. Nato al grido di Roma ladrona, il Carroccio ha da sempre tra i suoi fattori identitari la rivendicazione di un corretto utilizzo del denaro pubblico.
Poi le cose non sono sempre andate per il verso giusto, qualche amministratore è finito nei guai, lo stesso partito è stato condannato a restituire 49 milioni di contributi volatilizzati e nell’anno del Governo Conte1 sono saltati il sottosegretario Siri (indagato) e il viceministro Rixi (condannato per le spese pazze in Regione Liguria), mentre l’ombra di una tangente internazionale ha fatto partire un’inchiesta sul consulente della Lega in Regione Lombardia, Savoini.
Al netto della vicenda Diciotti, dove Matteo Salvini ha ritenuto di farsi salvare dal Parlamento per non affrontare il processo, l’allora vicepremier ha sempre manifestato una certa allergia a spiegare l’operato della sua squadra, rifiutandosi di presentarsi in Commissione Antimafia e in Senato. Scelte legittime ma incomprensibili per chi consideri la legalità il pilastro fondante di una qualunque forza politica. Per questo lascia perplessi l’inerzia della base leghista, per non dire dei suoi dirigenti, degli eletti alle Camere e nelle tante amministrazioni locali. D’accordo la prudenza, ma certo silenzio è connivenza.