L'Editoriale

Tritatutto Pd

Tritatutto Pd

C’è un qualcosa di politicamente masochistico nelle dinamiche che, periodicamente, si ripropongono identiche a se stesse all’interno del Pd. Come dimostrano gli 11 segretari avvicendatisi in 18 anni alla guida del partito (Veltroni, Franceschini, Bersani, Epifani, Renzi, Orfini, ancora Renzi, Martina, Zingaretti, Letta e Schlein) e le scorribande delle correnti che da un lato rendono impossibile una proposta politica chiara al proprio elettorato e dall’altro complicano le trattative con i possibili alleati per dare vita ad una coalizione credibile di centrosinistra.

Lo schema è sempre lo stesso: si elegge un segretario e poi si comincia a logorarlo. I precedenti sono eloquenti. Da Bersani, costretto ad abbandonare il Pd, a Letta, prima defenestrato da Palazzo Chigi da Renzi a colpi di Enrico, stai sereno (come no!) e poi sfinito dalle tensioni interne al punto da rinunciare a ricandidarsi alla guida della segreteria. Un copione condiviso con Zingaretti e che ora si ripropone con Schlein. Alla quale non si perdona di aver sovvertito nei gazebo, con il voto degli elettori, l’indicazione dei circoli dem che le avevano preferito l’ex renziano Bonaccini.

Stavolta la guerriglia contro la segretaria del Pd è addirittura allo scoperto. Aperta dalle spaccature a Strasburgo sul Piano di Riarmo Ue di von der Leyen, su cui Schlein si era espressa contro. Proseguita con la nascita a Milano, di un circolo di ex renziani di rango per segnare ancora più platealmente la distanza con la linea della segreteria. E deflagrata definitivamente sui referendum dell’8-9 giugno. Con una lettera a Repubblica vergata da Guerini, Gori, Madia, Quartapelle, Sensi e Picierno, per annunciare il loro voto solo su due quesiti (cittadinanza e responsabilità delle imprese appaltanti) e l’astensione sugli altri tre in dissenso con la linea del partito.

Uno strappo premeditato, che non disdegna il ricorso alla stessa arma delle destre (il non voto) per affossare il tentativo di Schlein, sostenendo i quesiti della Cgil, di riportare i dem sulla rotta della sinistra sociale in difesa dei diritti dei lavoratori che subirono una pesante spallata proprio per mano del Pd con il Jobs Act targato Renzi. Lasciarsi logorare o passare al contrattacco magari iniziando a mettere qualcuno alla porta? Le opzioni per Schlein sono due: finire nell’elenco degli ex segretari impallinati o provare a cambare sul serio il Pd. Tertium non datur.