Una bugia anche ripetuta mille volte non diventerà mai verità, ma è inevitabile che la frottola più gira e più persone finiscono per crederci. Prendiamo la panzana da settimane ospite fissa sui giornali: il Governo aumenterà l’Iva, ci tasserà il contante, si mangerà persino un pezzetto delle nostre merendine. Previsioni ovviamente prive di riscontri, ma a furia di parlarne c’è chi ci ha creduto, e ora che il quadro è più definito non aspettatevi che i falsari chiedano scusa. L’informazione va sempre più a braccetto con la propaganda, e in un Paese diviso a metà tra supporter della maggioranza giallorossa e opposizione di Centrodestra, le rispettive fazioni non sentono ragioni, con un approccio del tutto simile a quello delle tifoserie.
Così le fandonie sopravvivono a ogni smentita, e persino all’evidenza. Torniamo perciò con la memoria alla balla per eccellenza dell’estate 2019: a causa dello Stato che elargisce il Reddito di cittadinanza, gli stabilimenti balneari non riuscivano a trovare bagnini e altro personale stagionale da assumere. Per i nostri giovani era meglio stare col sederino al caldo di casa, persino con 40 gradi all’ombra, piuttosto che lavorare e rinunciare all’aiutino assistenziale. Poi però arrivano i conti ufficiali dell’Istat e si scopre che ad agosto gli italiani rimasti con le mani in mano sono scesi al 9,5%, cioè la percentuale più bassa degli ultimi 21 anni. Turisti e villeggianti, insomma, non sono stati abbandonati al loro destino, ed è salito pure il numero dei posti stabili.
Un polverone che serviva solo a screditare la misura più radicale mai realizzata in Italia contro la povertà, fortemente voluta dai Cinque Stelle e ideologicamente distantissima da quell’Italia del Pil che ha tanto da pensare per produrre da non capire che sostenere chi è rimasto indietro aiuterà tutti, compresa la parte più economicamente solida del Paese. Qui non c’entrano discorsi etici o più prosaicamente di scelta strategica nel rafforzare la leva dei consumi. Con il Reddito di cittadinanza – che peraltro non ha ancora cominciato a dispiegare i suoi effetti come strumento di politica attiva del lavoro – è passato per la prima volta un messaggio dirompente: finalmente c’è uno Stato che non si volta dall’altro lato di fronte ai suoi cittadini più deboli. Tornare allora a rischiare, a guardare con coraggio alla crescita delle imprese – seppure in uno scenario economico che non lascia troppo spazio all’ottimismo – è diventato sfidante.
Le imprese non assumono di più perché vogliono fare beneficenza, e ovviamente nessuno riempie l’azienda di dipendenti perché se va a gambe all’aria pensa di potersi rifare col Reddito di cittadinanza, ma vedere che lo Stato non sta solo a tartassare i suoi cittadini, ma sa stargli anche a fianco nei momenti difficili, fa sentire molti imprenditori meno soli, incoraggiandoli a scommettere sul futuro. Certo, se ci chiedessimo adesso quanti posti di lavoro ha creato il Reddito di cittadinanza, al netto dei circa tremila navigator che al momento sono pure precari, il bilancio sarebbe negativissimo.
Ma se ragioniamo con la mente più aperta e mettiamo in fila i dati Istat sull’occupazione, ma anche quelli di centri studi indipendenti come l’Osservatorio della Cna, la Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa, ecco che il trend ad assumere e far crescere le aziende appare chiarissimo. E questo in una condizione di previsione del Pil vicina allo zero, dunque in un periodo nel quale sarebbe meglio stringere i ranghi e assottigliare la truppa a cui versare ogni mese lo stipendio. Si è fatto tutto il possibile e non si sono fatti errori? No, sicuramente. Ma chi preferisce per motivi di bottega politica il segno più davanti al numero dei disoccupati, anziché il segno meno, si qualifica da se. Ed è zavorra in un Paese che vuole sforzarsi di guardare avanti.