Elogio al virus della pigrizia. La ricetta anti-stress del teologo Leclercq. Chiusi in quarantena, torna attuale il saggio del ’36

Costretti dalla quarantena anti-Covid in case presto trasformate in lividi cubiculi dove i ritmi stracchi e ripetitivi di un’esistenza senza sfoghi ci catapultano dal letto al divano, alla tavola da pranzo, alla scrivania, alla console, al bagno, al letto di nuovo, secondo un asfittico quadrante quotidiano, malediciamo quella che a tutta prima avevamo salutato con malcelato orgoglio: una avvolgente slavina di giornate senza impegni, senza traffico, senza stress, indolente grigia e molliccia al punto giusto. E così dovrebbe essere, in fondo. Terapia d’urto, rigenerazione piena, decolorazione e decompressione dei venefici liquami che costellano la nostra turbo-sopravvivenza.

A confermarcelo è un pamphlet gustosissimo di un teologo e filosofo sui generis, vissuto a cavallo dei due secoli scorsi, Jacques Leclercq che, in questo suo Elogio della pigrizia (Edizioni dehoniane, pagg. 54, euro 6.50) tesse le lodi di tutto quanto sia antidoto a quello che sin dal 1936 già si annunciava come il “castigo del tumulto” e il “tafferuglio” della vita moderna. Vita che dimentica il vero Vivente, l’Ineffabile della interiorità più pura e rarefatta e sa solo intridersi nell’acqua ragia di impressioni scompaginate, tempistiche sbrindellate, reazioni ipertensive, ecosistemi sfibrati. Con sereno cipiglio, il prete belga parla di come si infili nelle nostre sensorialità più intime un “brusio di Babele, una confusione di suoni, di colori e di forme, di sensazioni, di idee, uno scompiglio di immagini; e a dodici anni ogni ragazzo conosce a memoria le marche d’automobile, tutti i campioni del calcio e della bicicletta, tutte le dive del cinema”.

E tutto questo senza che egli – per sua fortuna – sia stato mai nemmeno sfiorato da palinsesti televisivi e gossip, champions’s league e orridi cicalecci da web. Fare della corsa, dell’intensità emotiva, della velocità dei mezzi di locomozione e degli standard di pensiero, della fretta e della frenesia, i filtri, i canoni della nostra arrischiata umanità, ci avvicina alla sparizione come esseri razionali e meditativi, a un vero plancton antropologico insipido e degradato. La risposta riconciliante, affratellante è il paesaggio, il silenzio, la natura, il vagabondaggio ozioso, il volo pindarico della fantasia, la pace spirituale, la grazia e la premura senza pressione. Staccare la spina, diremmo. Senza la “calca” che tutto affastella. Senza la calce delle tecnologie che tutto appiccica e ingrassa. A Leclercq è stato storicamente risparmiato anche il terrorismo mediatico che entra nelle teste pur se si è soli sotto un tetto, o al caldo delle famiglie, in ipotetiche guerre contro un virus. La vera psicopolitica sarebbe esplosa decenni dopo: oggi.