L’emergenza sbarchi va affrontata con fermezza. Bene ha fatto Conte a sposare la linea indicata da Di Maio

Con la bella stagione si ripresenta il fenomeno degli sbarchi di migranti clandestini. Di Maio ha proposto la politica della fermezza, nel rispetto delle norme giuridiche, e Conte ha sposato in pieno questa linea. Vedremo se il premier sarà libero di agire. Purtroppo i primi segnali non sono dei migliori. Zingaretti mette l’accento su “accoglienza e integrazione”. Non ha capito che quello, semmai, è un tema successivo, che si porrà quando l’immigrazione sarà ricondotta nei binari della legalità. Non ha capito soprattutto che le ondate di migrazioni mediterranee rischiano di travolgere i governi e gli ordinamenti democratici di mezza l’Europa, spingendoli nelle mani dei partiti di destra e ultra destra, xenofobi, razzisti, anti democratici, o nel migliore dei casi inclini al sovranismo e alla democratura tipo Orban o Putin.

Quasi ovunque ormai, non solo in Italia, ci sono partiti che reclamano soluzioni di forza, le quali sono apparentemente semplici – e per questo la gente ci crede – ma realisticamente inattuabili, come “chiudere i porti” (Salvini in 19 mesi da ministro non è riuscito a evitare un solo sbarco) o come “il blocco navale” (slogan di Giorgia Meloni, senza precisare che il blocco militare contempla necessariamente la facoltà di sparare contro le imbarcazioni dei migranti disarmati, un evidente crimine contro l’umanità). La verità è che c’è bisogno di fermezza, ma che questa sia ragionata, intelligente, giuridicamente e democraticamente sostenibile.

Gli immigrati irregolari, quelli che arrivano in Italia senza documenti, senza identità certa, dovrebbero essere presi in carico da un sistema giudiziario semplice, semplificato, efficace e risoluto. La cosa logica è che costoro siano ospitati in centri gestiti dallo Stato, non da privati, per evitare il solito bengodi degli speculatori. Dovranno essere luoghi dai quali sia difficilissimo evadere, sorvegliati all’esterno e anche all’interno per impedire che vi avvengano stupri e violenze. In tali centri i migranti dovrebbero rimanere in attesa di espulsione o in attesa che sia concluso l’iter della domanda di asilo politico. Quest’ultimo è il capitolo più spinoso. Il 95% dei migranti fa domanda di asilo e intanto si giova, in piena libertà di movimento, di un lasso di tempo che può durare anni.

Nel frattempo lo Stato spende milioni di euro per istruire le pratiche, mentre centinaia di giudici sono impegnati nell’esame delle richieste e poi dei ricorsi in Appello, che seguono quasi automaticamente, essendo gli avvocati d’ufficio pagati dallo Stato. Ebbene, credo che sia qui che si ponga la necessità di spezzare la catena. Sarebbe necessario innanzitutto eliminare certe classificazioni pseudo umanitarie intermedie tra “rifugiato politico” e “migrante irregolare”, che spesso servono solo a prolungare surrettiziamente la permanenza sul suolo italiano. Stando alla classificazione dell’Onu, o si è rifugiati politici o si è migranti economici. Tertium non datur. Nello stesso tempo bisognerebbe esonerare i giudici, recuperandoli alla normale attività giudiziaria, e affidare l’attività istruttoria ad avvocati in veste di giudici onorari adibiti a questo compito. Se il migrante non viene da un paese in guerra o da una notoria dittatura, la sua richiesta è in genere motivata con una generica “persecuzione politica”.

Dunque, anziché istruire ricerche lunghe e costose nei Paesi d’origine, basterebbe imporre al richiedente asilo di fornire almeno una prova inconfutabile della persecuzione. Se la prova c’è, si concede subito l’asilo politico. Se non c’è, il giudice onorario firma subito l’ordine di rimpatrio. Spesso basta un colloquio di cinque minuti tra il giudice e il migrante per stabilire una realtà che in genere è lampante. Cinque minuti, anziché due, tre, quattro anni. Ecco, questa sarebbe la fermezza nell’ambito di un contesto giuridico sostenibile. La fermezza, una volta adottata ed esibita, scoraggerebbe anche nuove, innumerevoli partenze.