La crisi al confine tra Thailandia e Cambogia entra in una fase ancora più delicata. La tregua negoziata soltanto pochi mesi fa da Donald Trump vacilla sotto il peso delle nuove ostilità, scoppiate con una violenza che lascia poco spazio ai tentativi di mediazione. Artiglieria, droni armati, accuse di bombardamenti su aree civili: il quadro che arriva dalla frontiera è quello di un’escalation ormai difficile da contenere.
Trump, intervenendo a un comizio in Pennsylvania, ha inserito il conflitto tra i risultati della sua attività diplomatica, sostenendo di aver contribuito a “fermare” una delle otto guerre che si attribuisce. Ha annunciato l’intenzione di telefonare ai leader dei due Paesi per riportare la situazione sotto controllo. Ma la sua offerta, almeno per ora, non trova sponde. Il ministro degli Esteri thailandese, Sihasak Phuangketkeow, in un’intervista a Reuters ha escluso margini per nuovi negoziati, affermando che il momento “non è favorevole a una mediazione di terze parti”.
Ben diversa la posizione di Phnom Penh. Un alto consigliere del premier cambogiano Hun Manet ha fatto sapere che la Cambogia è “pronta a parlare in qualsiasi momento”, e il portavoce del governo, Pen Bona, ha ribadito che l’unico obiettivo del Paese è “la pace”. Parole che tuttavia non sembrano in grado di invertire una tendenza ormai evidente.
Thailandia e Cambogia verso la guerra aperta: la tregua è ormai in frantumi e la diplomazia è in stallo totale
Sul terreno, infatti, la tensione cresce. Bangkok accusa le forze cambogiane di aver lanciato razzi BM-21 vicino all’ospedale Phanom Dong Rak, nel distretto di Surin, costringendo allo sfollamento di pazienti e personale. Riporta inoltre scontri con droni, carri armati e artiglieria nell’area del complesso templare di Preah Vihear, da sempre epicentro di rivalità nazionali.
La Cambogia risponde con accuse altrettanto gravi. Punta il dito contro l’esercito thailandese per l’uso di artiglieria e droni armati nella provincia di Pursat, per colpi di mortaio su case civili a Battambang e per un presunto bombardamento con jet F-16 dopo una violazione dello spazio aereo.
Il fragile accordo raggiunto a Kuala Lumpur lo scorso ottobre, già incrinato, è crollato del tutto dopo che un soldato thailandese è rimasto mutilato da una mina. Bangkok sostiene che l’ordigno sia stato piazzato di recente, mentre Phnom Penh lo nega con decisione. L’episodio ha riacceso antiche diffidenze e riattivato una spirale di violenze che affonda le sue radici in oltre un secolo di dispute territoriali, aggravate dal valore simbolico e storico dei templi lungo la frontiera.