Esclusivo: ecco il lascito ebreo che riabilita il Vaticano

di Lidia Lombardi

Bussarono nel cuore della notte. Portarono via padri, donne, vecchi, bambini. Destinazione lager. Al Ghetto, a Monti, nel cuore di Roma. Era il 16 ottobre 1943, il giorno del rastrellamento degli ebrei da parte dei soldati nazisti. Tragica pagina di storia. Che qui raccontiamo attraverso un angolo visuale privatissimo, svoltosi dentro un condominio di fine ‘800. Lo strano lascito di un ebreo a un  cattolico del quale ci narra Fausto Carratù.
Ingegner Carrarù, in che cosa consiste il suo ritrovamento?
“Nell’appartamento in cui vivo a Roma, in largo Brancaccio, ho rinvenuto carte lasciate dai Mollari, precedenti proprietari, che qui hanno abitato dal 1931 al 1980. Ferventi cattolici, il capofamiglia Luigi era responsabile dell’Annona in Vaticano e amministratore del condominio. Al piano di sotto abitava la famiglia ebrea di Alberto Della Seta, commerciante di tessuti e abiti. Con la moglie, Virginia Sessa, aveva sette figli, dei quali nel 1943 due sposati. Dalle carte ritrovate risulta che, quando egli ebbe sentore della possibile retata dei tedeschi, si rivolse al commendator Mollari affidandogli le proprie sostanze liquide, consistenti in 121 mila lire dell’epoca, parte in contanti parte in buoni del Tesoro, come specificato su modulo di banca. Chiese poi a voce al Mollari di riconsegnare tutto a chiunque della famiglia fosse ritornato. Nel caso che nessuno si fosse fatto più vivo, il Mollari avrebbe dovuto consegnare metà dei beni alla Università israelitica e l’altra metà alla Chiesa Cattolica.  Il giorno stesso della cattura, gli lasciò altre 3.500 lire brevi manu”.
Il cattolico e l’ebreo si rividero mai più?
“Di Alberto, della moglie, della figlia nubile, di quella sposata, del genero Astrologo e del loro bambino non si seppe più nulla. Un altro dei fratelli, Dino, fu catturato un mese dopo, pare per una spiata”.
Che fece allora il depositario della piccola fortuna?
“Dopo tre anni di ricerche, condotte anche tramite il Vaticano, durante i quali versò, a rate semestrali, le 3.500 lire ai 4 figli superstiti di Della Seta, Mollari il 9 maggio 1946, allorché i campi di sterminio erano stati aperti, riunì i figli Della Seta e la moglie di Dino per consegnare il resto della somma lasciatagli dal capofamiglia. E stilò un atto in carta da bollo che fece firmare ai 4 fratelli e alla moglie di Dino, quest’ultima in rappresentanza degli interessi della figlioletta Virginia, oggi vivente a Roma, vicino a S. Pietro. L’atto ha titolo “Riconsegna di valori depositati a custodia e relativa quietanza” e contiene la narrazione degli antefatti, compresa la volontà estrema di Della Seta di beneficare la Chiesa Cattolica”.
Insomma, documenti importanti.
“Queste carte – della cui autenticità mi sono procurato conferma scritta interpellando sia Virginia, oggi ultrasettantenne, sia il primogenito Evandro, quasi centenario – costituiscono conferma “in diretta” del fatto che gli ebrei romani non avevano alcuna fonte di informazione sullo sterminio nei lager. Altrimenti Della Seta avrebbe espresso le sue volontà in altri termini, non ipotizzando solo la sua ”mancanza” o quella della moglie, cioè degli anziani”.
Ma c’è di più.
“Il fatto più strabiliante è che un ebreo romano, in vista della deportazione, decide di lasciare metà dei propri averi alla Chiesa Cattolica, mentre destina l’altra metà a quella israelitica. Queste carte dimostrano che gli ebrei romani nutrivano verso il Papa e il Vaticano sentimenti di fiducia e di riconoscenza. A ridisegnare la storia dei rapporti tra Vaticano, nazismo e questione ebraica”.