Esplode in Borsa la bolla cinese. E Pechino cerca alibi negli Usa. In un mese Shanghai ha bruciato 3.200 miliardi. Nel mirino il solito gioco delle banche d’affari

Mentre l’attenzione europea è focalizzata sulle ricadute della vicenda greca, la più importante Borsa cinese – forse del mondo – è andata in caduta verticale. Lo Shanghai Composite Index, che traccia l’andamento della Borsa di Shanghai, era crollato (a martedì) di uno spettacolare 29% dal suo picco a metà giugno, accumulando secondo l’agenzia Bloomberg perdite per “almeno” 3.200 miliardi di dollari – oltre dieci volte le dimensioni del buco greco. Nel tentativo di fermare il crescente panico, le autorità hanno sospeso dagli scambi altri duecento titoli, portando il totale di quelli non più trattati a 745, il 26% di tutte le società cinesi.

IL PANORAMA
Il weekend scorso – il 4 luglio – un gruppo di 21 grandi operatori di Borsa cinesi si è impegnato a creare un fondo di supporto del valore di 120 miliardi di yuan (19,3 miliardi di dollari) per stabilizzare i prezzi. Il mercato non è sembrato oltremodo impressionato. I pur apprezzabili miliardi hanno avuto lo stesso effetto del tentativo di spegnere un incendio boschivo a sputi. Ora, nella notte (europea) tra martedì e mercoledì – poco fa, in altre parole – gli argini sono crollati. Le autorità borsistiche cinesi hanno intanto, d’emergenza, quasi raddoppiato le sospensioni dalle trattazioni di ancora altri titoli. Sono ora circa 1.200, approssimativamente la metà di quelli quotati. Tra l’altro è crollata anche la Borsa di Hong Kong. L’indice Hang Seng ieri aveva perso il 7,7%, avendo toccato il meno 8,3% nel corso della seduta. Shanghai ha perso un altro 5,4%. La Cina avrebbe già identificato gli untori responsabili del disastroso crollo: i perfidi americani, soprattutto nella persona della banca d’affari Morgan Stanley, che si è permessa in una nota agli investitori di ritirare il suo giudizio positivo sulle prospettive del mercato azionario cinese dopo il forte calo dell’indice dello scorso 26 giugno, quando Shanghai ha perso il 7,4% nel corso di una sola seduta.

I BERSAGLI
Un commento editoriale del China Financial News accusa gli operatori Usa di avere prima fatto schizzare in alto i titoli per poi liquidarli allo scopo di “ostacolare le riforme economiche in Cina”. È molto umano incolpare “esterni”, ma purtroppo non è risolutivo. Durante il crac Lehman del 2008 si è parlato di istituti “to big to fail”. Cominciamo a intravedere la circostanza di istituzioni finanziarie invece “troppo grandi da salvare”. Non solo per Mr. Tsipras e la Grecia si stanno chiudendo le tasche del mondo.