Ex Ilva di Taranto, al via la cassa integrazione Covid. Nove settimane di sospensione per oltre 8mila dipendenti. Ma il futuro è nelle mani di Arcelor Mittal

E’ partita oggi all’Ilva di Taranto la cassa integrazione per un periodo di nove settimane legata all’epidemia. La sospensione riguarderà fino a un massimo di 8.147 dipendenti scaglionati nei vari turni. In sostanza l’intero organico dello stabilimento ad eccezione dei dirigenti dovrà fermarsi in base alle esigenze della produzione. La nuova sospensione si aggiunge alla precedente di sei settimane che era iniziata il 3 agosto. In realtà il ricorso alla cassa integrazione è iniziata a luglio dell’anno scorso. Dapprima ordinaria per crisi di mercato, da marzo per via del Covid 19.

Anche questa volta la procedura è stata avviata senza l’accordo sindacale. Finora la cassa Covid ha coinvolto circa quattromila addetti, ma i segnali lanciati dall’azienda indicano un possibile aumento di un migliaio di unita’ della. Dunque, la forza lavoro effettivamente in servizio potrebbe scendere a 3 mila unità con una produzione annua di 3 milioni di tonnellate d’acciaio contro gli otto milioni della produzione normale e i dodici milioni di quella potenziale. Il Consiglio di fabbrica Fim, Fiom e Uilm ha avviato un percorso per decidere forme di mobilitazione dopo il doppio sciopero del 4 e del 7 settembre nei reparti Pla2 (produzione lamiere) e Laf (laminatori a freddo) per la riduzione del personale tecnologico.

Ora tutta l’attenzione è rivolta alle prossime decisioni di Arcelor Mittal cui spetta il compito di definire il futuro per la principale acciaieria d’Europa. La mancanza di un piano industriale e la pandemia rischiano di far precipitare una situazione già precaria prima del coronavirus. Ora al ricorso alla cigs il governo risponde con l’ipotesi di portare da 500 milioni a 1 miliardo la penale nel caso in cui Arcelor Mittal dovesse dire addio a Taranto, possibilità ormai sempre più concreta. Le voci che danno l’attuale proprietà vicino all’addio sono sempre più insistenti.

E il governo a questo punto non ha altre strade da percorrere: se non quella di un rilancio, raddoppiando la penale: un miliardo di euro ma al prezzo di un futuro sempre più incerto per Taranto. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha chiarito che il progetto per l’ex Ilva deve poggiare sul “mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi, un ambizioso piano di investimenti aggiuntivi molto significativi sia per la decarbonizzazione della produzione di acciaio sia per la bonifica e il rilancio verde dell’intera area”.
Gualtieri, che ha partecipato all’iniziativa del Pd dedicata a “Taranto Capitale del Green New Deal”, ha anche chiarito che qualora Arcelor Mittal rifiutasse anche questo progetto di rilancio dell’impianto, “si trovera’ un altro interlocutore”.

Tanto più, ha aggiunto l’esponente dell’Esecutivo, che “la decarbonizzazione di Ilva sarà tra le priorità del Recovery Plan italiano. E’ una strada difficile, ma non ce ne sono altre. Questo progetto ha dei capisaldi: mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi”. “In un Paese manifatturiero come l’Italia la siderurgia è un asset importante e quindi l’ex Ilva, è una risorsa, un pezzo importante dell’infrastruttura del Paese, ma non è sufficiente una retorica, l’affermazione della necessità di coniugare questo con l’ambiente “, evidenzia il ministro.

“Bisogna riconoscere – ha concluso Gualtieri – che da tempo l’impatto dell’ex Ilva sull’ambiente e sul territorio è insostenibile e che quindi giustamente e legittimamente i cittadini di Taranto, gli ambientalisti e le amministrazioni chiedo una profonda e tangibile discontinuità”. Per il ministro dell’Economia è una questione che valica i confini “locali” e che riguarda “la credibilità del Green new deal”, italiano ed europeo.