L’ex rettore dell’Aquila in carcere spera nei domiciliari. Per effetto dello Spazzacorrotti Di Orio sta scontando la pena a Rebibbia

A metà giugno la Corte di Cassazione aveva giudicato inammissibile il ricorso presentato dall’ex rettore dell’Università dell’Aquila, Ferdinando Di Orio, confermando la condanna a due anni e sei mesi di reclusione che gli aveva inflitto la Corte di Appello di Roma. Una vera e propria batosta per il 71enne, il quale è stato per dieci anni al vertice dell’ateneo aquilano e che in questo procedimento era accusato di induzione indebita nei confronti del professore della stessa struttura Sergio Tiberti, che per effetto della recente legge Spazzacorrotti, nonostante si è cercato per giorni di tenere la faccenda sotto il più stretto riserbo, è finito nel carcere romano di Rebibbia.

Proprio la legge del governo gialloverde, in controtendenza con il passato anche recente, per condanne legate a simili reati, prevede l’arresto immediato con la detenzione in carcere anche per gli imputati con più di 70 anni. I legali di Di Orio, gli avvocati Guido Calvi e Mauro Catenacci, hanno presentato istanza per chiedere i domiciliari oppure i servizi sociali. La stretta contro la corruzione voluta dall’Esecutivo Conte, sostanzialmente un primo passo in vista della riforma della Giustizia attualmente in discussione, non è piaciuta a molti per il suo carattere retroattivo. Per questo sulla norma, nelle cui maglie si era incagliato anche Roberto Formigoni, da mesi è in corso un dibattito serrato che promette novità e a cui sta prendendo parte anche la Corte Costituzionale.