Falsi pentiti e depistaggi dei pm. La strage di via d’Amelio resterà un giallo. Chiesta l’archiviazione per i due magistrati indagati. Erano accusati del reato di calunnia aggravata

Per qualcuno è la fine di un incubo giudiziario, per altri è la parola fine che lascerà per sempre irrisolta una parte di verità sulla strage di via d’Amelio. Dopo due anni d’indagine sui depistaggi che hanno rallentato l’inchiesta sull’attentato in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, la Procura di Messina ha chiesto l’archiviazione dei due ex sostituti procuratori di Caltanissetta, Annamaria Palma e Carmelo Petralia. Per loro l’accusa era di quelle che fanno tremare i polsi perché si pensava avesser costruito ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino, assieme all’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, deceduto nel 2002. Un depistaggio per il quale sono già sotto processo, davanti ai giudici del tribunale di Caltanissetta e per lo stesso reato che era stato ipotizzato nei confronti dei due pubblici ministeri, tre poliziotti. Si tratta del funzionario Mario Bo, l’ex capo del gruppo d’indagine Falcone Borsellino, e degli ispettori in pensione Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

SERIE DI MENZOGNE. L’inchiesta dei pubblici ministeri di Messina, competente per i reati commessi dai colleghi di Caltanissetta, era nata due anni fa a seguito della sentenza “Borsellino quater”, l’ultimo troncone del processo per la strage di via d’Amelio. Un dispositivo storico in cui, per la prima volta, i giudici mettevano nero su bianco l’ipotesi del depistaggio delle indagini. Del resto, a parer loro, erano emerse prove inconfutabili di pressioni subite dai falsi pentiti, soprattutto per bocca del funzionario di polizia Bo, al fine di accusare dell’attentato persone che, invece, erano del tutto estranee ai fatti. Una falsa verità a cui tutti, a partire dai giudici, hanno creduto per decenni. Proprio sulla base delle dichiarazioni dei falsi pentiti, infatti, sette persone sono state effettivamente condannate all’ergastolo.

Un castello di menzogne che, però, nel 2008 è crollato di colpo dopo che l’ex boss di Brancaccio, Gaspare Spatuzza, ha deciso di collaborare con la giustizia. Proprio quest’ultimo, decidendo di togliere il velo dalla vicenda e sorprendendo tutti, si è auto accusato della strage e ha rivelato che è stato lui, e non di certo Scarantino, a rubare la Fiat 126 poi trasformata in autobomba. Dichiarazioni che hanno scagionato i sette condannati, per i quali è stata disposta la scarcerazione, e sollevato una montagna di interrogativi che, però, sembrano destinati a rimanere un mistero.