È dal 2019 che la Corte Costituzionale chiede al Parlamento di legiferare sul fine vita. Eppure, a cinque anni dalla storica sentenza 242 sul caso Cappato-Dj Fabo, l’Italia è ancora priva di una legge. L’ennesimo appello è arrivato oggi, con la sentenza n. 66, che ha rigettato le eccezioni di incostituzionalità sollevate dal gip di Milano sull’articolo 580 del Codice penale, ma ha nuovamente sollecitato il legislatore ad agire. “È un preciso dovere della Repubblica”, affermano i giudici, “garantire forme di assistenza sociosanitaria continuativa”, perché l’assenza di cure può essere “lo spartiacque tra la scelta di vita e la richiesta di morte”.
Fine vita, un Parlamento che ha smarrito il coraggio
In Senato, la maggioranza ha preferito non presentare alcun testo base. I relatori (di Forza Italia e Fratelli d’Italia) si sono presentati “a mani vuote”, secondo le opposizioni, facendo naufragare l’ennesima seduta del comitato ristretto. Alfredo Bazoli (Pd) e Ilaria Cucchi (Avs) hanno abbandonato i lavori: “Una destra disumana boicotta una legge di civiltà”, ha accusato Cucchi. Riccardo Magi (+Europa) ha parlato di “cortocircuito dell’ipocrisia”, denunciando che gli stessi che bloccano il Parlamento impugnano le leggi regionali e attaccano lo strumento referendario.
La voce del M5S: “Schiaffo a chi soffre”
Anche il Movimento 5 Stelle è intervenuto con toni duri. Alessandra Maiorino, vicepresidente del gruppo al Senato, ha parlato di “ennesimo colpo basso” e di “destra sorda alle sollecitazioni della Consulta”, che continua ad aggrapparsi a “un’ideologia retrograda per non dare risposte”. Elisa Pirro, prima firmataria del ddl M5S, ha definito la situazione “una palude parlamentare fatta di calcoli interni, mentre chi soffre non può aspettare”. Il testo pentastellato, insieme a quelli di Pd, Avs, FI e Noi Moderati, giace inutilizzato. “Se davvero si volesse legiferare, le basi ci sarebbero. Ma manca la volontà” .
La Consulta: il sostegno vitale è requisito, ma non scusa
Sul piano giuridico, la Corte ha confermato che subordinare la non punibilità all’esistenza di un trattamento di sostegno vitale non è incostituzionale. Ma ha anche chiarito che il requisito va interpretato in modo ampio: non servono macchinari complessi, basta una procedura sanitaria da cui dipenda la vita del paziente, anche se gestita da familiari. E non è necessario che il paziente inizi un trattamento solo per poter essere “ammesso” a morire. L’autodeterminazione resta centrale, ma deve essere accompagnata da un sistema pubblico che non costringa alla sofferenza per mancanza di alternative.
Sul fine vita una destra che agita il Parlamento e impugna le Regioni
Mentre il governo impugna la legge toscana sul suicidio medicalmente assistito, in Sardegna si apre l’iter per una norma simile, sostenuta dall’Associazione Luca Coscioni. Le Regioni si muovono dove lo Stato resta immobile. E la Consulta denuncia apertamente ciò che la politica non vuole vedere: in Italia l’accesso alle cure palliative non è equo, le liste d’attesa sono lunghe, il personale carente, la distribuzione territoriale disomogenea. È un quadro incompatibile con qualsiasi idea di dignità.
L’assenza che diventa colpa
L’inerzia legislativa non è neutra: produce conseguenze quotidiane, scaricate sui malati, sulle famiglie e sul personale sanitario costretto a operare nell’incertezza. “Non stiamo parlando di un’astrazione giuridica – ha ricordato la Consulta – ma del diritto costituzionale al libero sviluppo della persona”. E quando il Parlamento rinuncia a esercitare la propria funzione, quel diritto resta sospeso. È qui che il ritardo si trasforma in colpa politica.