I quattro parlamentari italiani hanno lasciato ieri il carcere israeliano di Ketziot per rientrare in Italia. Marco Croatti del Movimento 5 Stelle, Annalisa Corrado ed Arturo Scotto del Partito democratico, Benedetta Scuderi di Alleanza Verdi e Sinistra hanno viaggiato su un volo di linea dopo l’intesa raggiunta nella notte tra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e l’omologo israeliano Gideon Sa’ar. La Farnesina ha parlato di “assistenza consolare” e ha ribadito la richiesta di liberare anche gli altri italiani ancora trattenuti. Nel frattempo, a Tel Aviv si studia la possibilità di un charter per gli espatri, mentre gli attivisti restano sotto identificazione e in attesa di udienza.
Il rilascio è stato presentato come un successo diplomatico. Ma l’operazione porta con sé due elementi difficili da ignorare: l’impressione che i parlamentari abbiano goduto di una corsia riservata, e il rischio che la trattativa bilaterale contribuisca a legittimare un’azione di forza avvenuta in acque internazionali e già definita da giuristi e osservatori come un atto di pirateria.
Il doppio binario della tutela consolare
La Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari stabilisce che l’assistenza a cittadini detenuti all’estero deve essere uguale per tutti. Eppure la narrazione di queste ore ha distinto nettamente i parlamentari dal resto degli italiani: i primi accolti come “salvati” da un’operazione speciale, gli altri lasciati in un limbo di udienze, decreti di espulsione e attese nei centri di detenzione.
Il messaggio implicito è chiaro: lo Stato si mobilita con urgenza se sono in gioco figure istituzionali, mentre la società civile deve affidarsi a procedure lente e incerte. Una rappresentazione che rischia di isolare chi ha scelto di imbarcarsi come attivista o giornalista, riducendo il valore politico della missione a un fatto marginale. È un effetto perverso, che contrasta con le finalità della protezione consolare.
La legittimazione implicita dell’abbordaggio
C’è poi la questione più delicata. L’intercettazione della Global Sumud Flotilla in alto mare, in nacque internazionali. Qui il diritto del mare è chiaro: la libertà di navigazione è principio cardine, limitabile solo in casi molto precisi. Israele invoca la copertura del blocco navale, ma il Manuale di San Remo prevede condizioni stringenti: proporzionalità, notifica, applicazione imparziale, tutela dei beni umanitari. Condizioni che la Flotilla rivendica di avere rispettato, caricando a bordo generi alimentari e medicinali.
Il precedente del 2010 mostra quanto la materia sia controversa: il Panel Palmer delle Nazioni Unite riconobbe in astratto la legalità del blocco, ma criticò duramente l’uso della forza; altre missioni internazionali considerarono invece illegittimo l’intero impianto. Oggi, mentre la Spagna ha annunciato un’indagine della Procura sulle intercettazioni, l’Italia sceglie la via della trattativa diretta. Se non accompagnata da una riserva formale sulla legalità dell’abbordaggio, questa scelta equivale a un riconoscimento implicito del potere di Israele di fermare navi civili in alto mare.
È il punto in cui la tutela consolare rischia di diventare complicità politica: liberare i parlamentari senza contestare l’atto che ha portato al loro fermo significa accettare di fatto la cornice israeliana, normalizzando un’operazione di forza contro imbarcazioni dirette a scopi umanitari.
Il nodo politico per il governo italiano
La trattativa Tajani–Sa’ar dimostra che la diplomazia italiana sa attivarsi rapidamente, ma espone il governo a due critiche convergenti: l’aver usato il rientro degli eletti come successo di propaganda interna e l’aver omesso di affermare la propria contrarietà a un’azione illegale.
Restano interrogativi concreti: chi pagherà i rientri degli altri italiani? Che garanzie sono state date sull’assistenza legale? Quali atti formali accompagneranno la richiesta di liberazione dei civili ancora a Ketziot? La credibilità di Roma si misura ora non sulla rapidità con cui ha liberato quattro parlamentari, ma sulla capacità di difendere il principio di libertà di navigazione e la tutela eguale dei cittadini.
L’Italia si trova davanti a un bivio: rivendicare la neutralità della protezione consolare, evitando di accreditare la giurisdizione israeliana in alto mare, oppure accettare che la vicenda passi come un incidente risolto con un’operazione diplomatica di successo. Nel primo caso difenderebbe la legalità internazionale, nel secondo si accontenterebbe di una vittoria di corto respiro che rischia di pesare sul lungo periodo.