Fuga dal patto di Mediobanca. Il salotto buono non c’è più. Insoddisfatti i soci italiani, siamo al liberi tutti. Da tempo i crocevia della finanza sono all’estero

Fuga dal patto di Mediobanca. Il salotto buono non c’è più

La finanza italiana è sempre più malconcia e così, per consunzione, finisce anche l’epoca dei salotti buoni, quei centri di potere che decidevano le sorti dei grandi gruppi, che sposavano i campioni dell’economia o li abbandonavano al loro destino. La storia del capitalismo italiano passa tutta da questi crocevia, con un santuario su tutti: Mediobanca. L’istituto governato per decenni da Salvatore Cuccia è stato il regista di quasi tutte le operazione che contavano fino agli inizi di questo secolo. La banca d’affari che dirigeva il traffico tra istituti di credito e grandi famiglie, dagli Agnelli a Pirelli, da Falck a Ligresti e Berlusconi. Erano gli anni del capitalismo familiare (e relazionale). Un’era geologica fa.

UN NUOVO MONDO
Oggi il mondo è cambiato, le carte le danno i grandi fondi a Wall Street o a Hong Kong. E Mediobanca si è rimpicciolita fino a diventare una società finanziaria come altre. Starne dentro immobilizzando risorse preziose per blindarne il patto di controllo serve più ai manager che ai soci. Naturale che prima o poi sarebbe arrivato il liberi tutti. Il patto dell’istituto di via Filodrammatici potrebbe dunque sciogliersi presto, probabilmente già a settembre. Tra gli azionisti esteri è rimasto il solo Bollorè che ha già fatto intendere di voler restare – ma nel gruppo degli italiani non tutti la pensano così. È il caso ad esempio di Pesenti, che in passato, era sembrato scettico sull’opportunità di proseguire nel patto anche se all’ultimo rinnovo aveva comunque apportato una quota che consentì di mantenere oltre il 30% la partecipazione vincolata del patto.

TREGUA IN CDA
Il tema del possibile scioglimento del patto di sindacato non è stato affrontato durante la riunione informale del cda e dei manager Mediobanca che si è tenuta ieri. Resta tuttavia un tema che i soci dovranno affrontare nei prossimi mesi e al momento – viene fatto osservare – la società può comunque contare su due azionisti stabili e intenzionati a restare nel capitale come Unicredit (8,63%) e Bollorè (7,46%, ma con il diritto a salire di un ulteriore 0,52%). I maggiori indiziati per una possibile uscita sono Mediolanum (3,37%) ed Edizione (2,16%), Pirelli (1,82%), Fin. Priv (1,66%), la Italmobiliare, appunto, della famiglia Pesenti (1,56%), Fininvest (1%), Gavio (0,68%), Ferrero (0,66%), gruppo Pecci (0,47%), Angelini (0,46%), la Sinpar della famiglia Lucchini (0,39%), il gruppo Zannoni (0,3%), Mais Partecipazioi Stabili della famiglia Seragnoli (0,22%), l’accomandita di Ennio Doris Fin. Prog. Italia (0,21%), Vittoria Assicurazioni (0,14%), la Candy della famiglia Fumagalli (0,13%) e Romano Minozzi (0,11%). Attualmente il patto di sindacato di Mediobanca vincola il 31,44% del capitale e dopo l’ultimo rinnovo ha ora scadenza a fine 2015. Dovesse sciogliersi sarebbe la fine di uno dei più lunghi e duraturi patti di sindacato della storia della finanza italiana.