Garanzia Giovani è un flop. Non solo in Italia. Un report certifica il fallimento del piano Ue per chi non studia né lavora

La Corte dei conti europea, che ha passato sotto la lente Garanzia Giovani, il piano Ue per la lotta alla disoccupazione giovanile certifica il fallimento

Poche parole. Ma chiare: “I risultati conseguiti non rispecchiano le aspettative iniziali”. A metterle nero su bianco in una relazione di 93 pagine è stata la Corte dei conti europea, che ha passato sotto la lente Garanzia Giovani, il piano Ue per la lotta alla disoccupazione giovanile partito il 1° maggio di tre anni fa. Un programma rivolto a quegli Stati con un tasso di Neet (cioè coloro che non studiano né lavorano) superiore al 25% e per il quale Bruxelles ha sborsato 6 miliardi di euro, 1,5 solo per l’Italia, nel triennio 2014/2016. Nonostante le buone intenzioni, però, le cose non hanno girato proprio per il verso giusto. E stavolta – magra consolazione – i problemi non hanno riguardato solo il Belpaese. La bocciatura è stata pressoché totale anche per gli altri sei Paesi analizzati, cioè Portogallo, Spagna, Croazia, Francia, Slovacchia e Irlanda. Anche se l’Italia si è voluta distinguere ancora una volta classificandosi ultima in questa mini-classifica. Cosa non ha funzionato? “La Corte ha rilevato una mancanza di strategie con tappe intermedie e obiettivi chiari, per raggiungere tutti coloro che necessitano di offerte di lavoro, istruzione o formazione”, ha sintetizzato una nota.

Tris di problemi – Di fatto, ha chiarito Iliana Ivanova, membro della Corte responsabile della relazione, “al termine del primo semestre 2016, oltre 4 milioni di giovani sotto i 25 anni erano ancora disoccupati”. Ecco perché “i responsabili delle politiche dovrebbero fare in modo che i programmi volti ad aiutare i giovani non suscitino aspettative che non possono essere soddisfatte”, ha aggiunto tranchant. Più nel dettaglio, i problemi che riguardano il nostro Paese sono sostanzialmente tre. Il primo concerne i reali effetti della partecipazione al piano. “L’occupazione è la destinazione più comune per le ‘uscite positive’ in tutti gli Stati membri visitati, eccetto l’Italia, dove i tirocini rappresentano il 54% di queste – è scritto nel report –. In tutti gli altri Stati membri visitati, le uscite verso un’occupazione oscillano tra il 64% in Irlanda e il 90% in Francia”. Il secondo riguarda un fattore certamente non secondario (e collegato al primo): quello dei pagamenti. “In Italia, in tutti i casi in cui le persone incluse nel campione hanno aderito a un’offerta di tirocinio, si sono verificati ritardi significativi (di almeno due mesi) nei pagamenti – prosegue la relazione –. L’Italia ha riconosciuto che il ritardo nel pagamento costituiva un problema ricorrente nei tirocini in generale, non solo nell’ambito del campione. Per la riscossione del pagamento si è infatti registrato un ritardo medio di 64 giorni”.

Rotta sbagliata – La terza questione ha come oggetto la strategia usata dal nostro Paese per la registrazione alla Youth Guarantee. “In Italia, le autorità nazionali hanno deciso di non trasferire automaticamente al sistema della Garanzia per i giovani i soggetti rispondenti ai criteri Neet che erano già registrati come ‘disoccupati’ presso lo Spi (i servizi per l’impiego, ndr), chiedendo invece loro di riregistrarsi”, fa notare la Corte. Scelta che “ha comportato un ulteriore onere per i Neet e un tasso di registrazione molto basso”. Recentemente il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha parlato di “risultati positivi” raggiunti in Italia dal programma. In vista della partenza della “fase 2”, forse (forse) è il caso di rivedere qualcosa.

Twitter: @GiorgioVelardi