Le ultime 48 ore a Gaza hanno il volto della disperazione, della fame e della morte. Nel campo di al-Shati, nel nord della Striscia, almeno 16 persone sono state uccise nelle prime ore di oggi da un attacco dei carri armati israeliani che – secondo quanto riportato dalle autorità sanitarie locali – avrebbero aperto il fuoco sulle tende degli sfollati. Un bombardamento che arriva nel silenzio ufficiale dell’IDF, l’esercito israeliano, che non ha ancora commentato l’episodio.
È solo uno dei capitoli più recenti della guerra senza tregua che sta consumando Gaza. Dall’alba di oggi il bilancio delle vittime è salito ad almeno 31 morti, tra cui sette civili colpiti mentre aspettavano aiuti umanitari nel corridoio di Netzarim. Secondo l’agenzia palestinese Wafa, le bombe non fanno più distinzione: nessun luogo è sicuro, nemmeno le file della fame.
E proprio la fame sta diventando l’altra arma della guerra. Secondo la stessa Wafa, sono 25 le persone morte per malnutrizione negli ultimi giorni, tra cui bambini e neonati. L’ultimo caso riguarda un bimbo morto oggi a Khan Younis, e un neonato di appena 40 giorni nel nord della Striscia. In un territorio assediato, dove l’accesso a cibo e acqua è ridotto al minimo, il numero di vittime indirette del conflitto continua a salire.
Gaza, la guerra sprofonda nell’orrore: attacchi sulle tende di sfollati e morti per fame
Nel cuore di questa tragedia si leva la voce di padre Gabriel Romanelli, parroco della Sacra Famiglia – l’unica chiesa cattolica di Gaza – ferito nell’attacco di giovedì scorso che ha ucciso tre persone. “Non riesco a spiegare come si vive qui – racconta al Sole 24 Ore – la gente è stremata, disperata, manca tutto. Le bombe sono il sottofondo della nostra vita. Anche durante l’omelia del cardinale si sentivano esplosioni. Nessuno può capire davvero, se non lo vive”.
In un’altra intervista, rilasciata a Repubblica, Romanelli ricorda con lucidità il momento dell’esplosione: “Ero in ufficio, mi sono alzato per bere un mate con padre Yusuf. In quell’istante è arrivato il colpo. La porta è saltata. Se fossi rimasto seduto, sarei morto. I frammenti hanno colpito tutto il cortile. Tre persone sono morte, io sono stato ferito alla gamba. I bambini erano dentro per miracolo. Nessun posto è sicuro. A Gaza il colore rosso delle zone a rischio non serve più: qui ogni centimetro è pericoloso”.
In una Striscia dove oltre 2 milioni di persone sopravvivono senza medicine, senza acqua potabile, senza riparo, il conflitto continua a travolgere civili, chiese, ospedali. La crisi umanitaria si aggrava di giorno in giorno, mentre la comunità internazionale osserva con crescente sgomento.