Con le bombe che continuano a cadere sulla Striscia di Gaza, paralizzando la distribuzione degli aiuti umanitari per il terzo giorno consecutivo, Hamas torna a tendere la mano a Israele, dichiarandosi pronta “a iniziare nuovi colloqui per il cessate il fuoco”. A sostenerlo è Khalil al Hayyah, alto funzionario e capo negoziatore del movimento islamista palestinese, che ha poi smentito quanto fatto trapelare dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il quale nei giorni scorsi aveva sostenuto che il gruppo terroristico aveva rifiutato l’accordo di pace proposto dall’inviato statunitense Steve Witkoff.
“Hamas non ha respinto l’ultima proposta di Witkoff, ma ha piuttosto offerto alcuni commenti ed emendamenti per assicurare la fine di questa guerra, impedire al nemico (Israele) di tornare al tradimento, alle uccisioni, all’invasione e agli sfollamenti forzati, e garantire un generoso apporto di aiuti e soccorsi al nostro popolo”, ha puntualizzato al Hayyah.
Lo stesso ha spiegato che, a suo avviso, se l’accordo di pace non è stato ancora siglato, è perché “Netanyahu e la sua coalizione di governo non vogliono porre fine alla guerra, poiché ritengono di non aver raggiunto nessuno dei loro obiettivi strategici: sia che si tratti di espellere da Gaza il popolo palestinese, smantellare la resistenza o imporre un’autorità clientelare dell’occupazione, insediando un ‘Karzai palestinese’ a governare la Striscia”. E tutto ciò, secondo lui, può essere risolto soltanto dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, definito come “l’unico in grado di imporre un cessate il fuoco, se solo lo volesse”.
A Gaza un dramma infinito
Quel che è certo è che, in attesa di capire se i negoziati potranno riprendere vigore, nella Striscia si continua a combattere. Una situazione che ha spinto la Gaza Humanitarian Foundation, ong sostenuta da Stati Uniti e Israele, a tenere chiusi tutti i suoi centri di distribuzione degli aiuti umanitari per il terzo giorno consecutivo.
Ancora più grave è che, al momento, non è chiaro quando l’organizzazione riprenderà le attività. Uno stop che aggrava ulteriormente la condizione dei civili, che secondo ActionAid sono costretti a vivere in “condizioni disumane”, con “l’82% del territorio sotto controllo militare israeliano o soggetto a ordini di evacuazione di massa”.