L’Onu chiede la pace a Gaza e Netanyahu risponde bombardando la Striscia

Gaza torna a infiammarsi: l’Onu chiede la pace nella Striscia e Netanyahu risponde bombardando la Palestina

L’Onu chiede la pace a Gaza e Netanyahu risponde bombardando la Striscia

Dopo l’esplosione della guerra civile siriana, la Striscia di Gaza sembra essere sparita dai radar. Eppure, nell’enclave palestinese il conflitto non si è mai fermato e, anzi, nelle ultime ore si è assistito a una sua recrudescenza. Sembra infatti caduto nel vuoto l’appello dell’Assemblea generale dell’ONU che, a larghissima maggioranza, ha chiesto al primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, di acconsentire a un accordo per il “cessate il fuoco immediato e incondizionato nella Striscia”.

Di tutta risposta, l’esercito israeliano (IDF) ha scatenato un’intensa campagna aerea sulla Palestina. Un primo raid avrebbe colpito, a Rafah, un gruppo di palestinesi incaricato di mettere in sicurezza i camion con aiuti umanitari destinati alla Striscia di Gaza, causando la morte di almeno otto civili e decine di feriti. Successivamente, le bombe sono cadute vicino al campo profughi di Nuseirat e a Gaza City, dove la Protezione civile palestinese ha descritto scene degne di un film horror: almeno 21 morti, di cui sei sarebbero minorenni. Azioni che hanno suscitato proteste della comunità internazionale e che potrebbero aver avuto un ruolo nell’attentato avvenuto a Gerusalemme, dove un palestinese – poi consegnatosi alle autorità israeliane – ha aperto il fuoco contro un autobus, uccidendo un bambino israeliano di 10 anni.

Si torna a sperare per un accordo di pace a Gaza tra Hamas e Israele

Nonostante questa strage quotidiana, sembrano essere riprese – con un certo ottimismo – le trattative tra Hamas e l’amministrazione Netanyahu per una tregua di 30 o al massimo 60 giorni, con la contestuale liberazione degli ostaggi israeliani ancora in mano ai militanti palestinesi.

A suggerire questa ipotesi è un’indiscrezione del Wall Street Journal, secondo cui Hamas, complice la caduta di Assad in Siria e le difficoltà dei suoi storici alleati, l’Iran e Hezbollah, avrebbe “ceduto alla richiesta chiave di Israele per giungere all’accordo”: il consenso alla permanenza temporanea “delle forze israeliane a Gaza” anche dopo l’inizio della tregua.

Damasco diventa un caso

Intanto, nella Siria post-regime di Bashar al-Assad, il gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), fondato dall’attuale leader dei ribelli anti-Assad Mohammed al-Jalani, continua a tentare di rassicurare l’Occidente. “Non vogliamo che i Paesi del mondo associno la rivoluzione allo Stato Islamico, perché l’ISIS è stato una pagina nera della storia siriana”, ha spiegato il portavoce del Dipartimento degli Affari Politici, Obaida Arnaout, in un’intervista all’emittente qatarina Al-Jazeera. Ha sottolineato che i miliziani intendono stabilire “un nuovo Stato delle istituzioni e del diritto”. Tuttavia, queste rassicurazioni sembrano fortemente smentite dai fatti.

Da un lato, il nuovo governo siriano ha annunciato la sospensione della Costituzione e del Parlamento per tre mesi; dall’altro, sono emersi sul web video choc provenienti da città come Idlib, Hama e Damasco, che mostrano esecuzioni sommarie di ex alti ufficiali del regime di Assad, accusati di aver perpetrato massacri di civili. La crisi siriana sembra tutt’altro che risolta: Human Rights Watch ha lanciato un allarme, rivelando che “decine di migliaia di civili sono fuggiti nel nord-est della Siria controllato dai curdi”, temendo la repressione dei gruppi jihadisti. Questi civili affrontano condizioni disumane a causa della mancanza di ripari adeguati, acqua, cibo e assistenza sanitaria.

A peggiorare ulteriormente la situazione, l’esercito israeliano (IDF) continua a colpire le strutture militari residue dell’esercito di Assad nelle province costiere di Latakia e Tartus. Nonostante le richieste della comunità internazionale, Israele non sembra intenzionato a rinunciare all’occupazione delle alture del Golan.