A inizio ottobre arriverà alla Corte penale internazionale una denuncia che chiama in causa il governo italiano per complicità nel genocidio a Gaza. A presentarla sarà Fabio Marcelli, direttore dell’Istituto di Studi Giuridici sul Mediterraneo del Cnr, che individua nella premier Giorgia Meloni, nei ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto e nell’amministratore delegato di Leonardo Roberto Cingolani i responsabili di condotte penalmente rilevanti. L’accusa è di avere fornito sostegno materiale e politico allo Stato israeliano anche dopo che la Corte internazionale di giustizia, il 26 gennaio 2024, ha riconosciuto «plausibile» la fattispecie di genocidio, ordinando a Israele misure immediate per prevenirlo.
I dati sulle forniture e i precedenti
Secondo le statistiche ufficiali Coeweb-Istat, nel 2024 l’Italia ha esportato verso Israele oltre 5,8 milioni di euro in armi, munizioni e accessori. Nei primi mesi del 2025 i flussi non si sono interrotti. Una parte rilevante riguarda la manutenzione e la fornitura di pezzi di ricambio dei velivoli M-346, addestratori avanzati in uso alle forze aeree israeliane dal 2014. L’azienda a controllo pubblico (il Ministero dell’Economia ne possiede circa il 30%) ha confermato la continuità delle attività di supporto tecnico, che si inseriscono in un accordo di cooperazione industriale firmato oltre dieci anni fa e tuttora operativo.
La denuncia richiama gli articoli 25 e 27 dello Statuto di Roma che sanciscono la responsabilità individuale per «aiuto o assistenza» a crimini internazionali e la non rilevanza delle immunità politiche. A supporto del quadro accusatorio ci sono anche i precedenti: la Corte penale internazionale ha già emesso mandati d’arresto per il premier Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, riconoscendo la possibilità di perseguire condotte legate al conflitto a Gaza. Sul versante interno, la legge 185 del 1990 vieta l’export di armamenti verso Paesi impegnati in conflitti che violano i principi della Carta delle Nazioni Unite o responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Una cornice che avrebbe dovuto indurre a sospendere ogni trasferimento.
Un’Italia isolata nel confronto europeo
Se altri Stati europei hanno scelto di bloccare i rapporti militari con Israele, Roma è rimasta ferma a metà. La Spagna ha cancellato nel 2025 due maxi contratti per sistemi d’artiglieria e missili Spike, avviando un decreto-legge che istituzionalizza l’embargo totale. In Belgio la Vallonia ha sospeso le licenze già nel 2024, mentre nei Paesi Bassi la Corte d’appello dell’Aja ha imposto lo stop all’export di componenti per gli F-35 destinati a Israele. In Italia, invece, le dichiarazioni ufficiali hanno oscillato tra le «azioni inaccettabili», riferite alla condotta israeliana a Gaza, e la negazione della parola genocidio, come avvenuto nell’agosto 2025 per bocca del ministro degli Esteri Tajani.
La credibilità del nostro Paese davanti alla Corte dell’Aja è ulteriormente indebolita dal caso di Osama Elmasry Njeem, cittadino libico su cui la stessa Corte ha contestato all’Italia la mancata cooperazione nella consegna. Il procuratore Karim Khan ha chiesto che Roma venga deferita all’Assemblea degli Stati Parte per inadempienza. Un precedente che rischia di pesare anche sulla valutazione della denuncia di Marcelli.
L’atto che arriverà all’Aja non è quindi un gesto isolato. È il tentativo di rendere giuridicamente responsabile un governo che, di fronte a un conflitto qualificato come plausibile genocidio dall’Onu e dalla Corte internazionale di giustizia, ha mantenuto rapporti economici, industriali e politici con lo Stato aggressore. La parola passerà ora ai giudici dell’Aja, ma la documentazione raccolta rende difficile archiviare il tutto come semplice propaganda.