Le Lettere

Ghali e il Grande fratello

L’ambasciatore israeliano si è scagliato contro il festival di Sanremo perché Ghali ha detto “No al genocidio”. Cosa doveva dire, “Viva il genocidio”? E poi Mara Venier ha cercato di smorzarne la voce, ma si vergogni: qui siamo in democrazia.
Olga Cumano
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Gentile lettrice, sono d’accordo, tranne per una cosa: non è esatto che siamo in democrazia. Ciò che chiamiamo democrazia è ormai una forma di autoritarismo camuffato o, se preferisce, una democrazia degenerata in autoritarismo. Lo provano la censura delle fonti non allineate (per esempio tutti i canali tv e siti internet russi sono oscurati); il pensiero unico di tv e stampa (tranne un paio di giornali, tra cui questo); le liste di proscrizione dei “putiniani”; l’abolizione di concerti, opere d’arte, corsi universitari di argomento russo; la russofobia estesa anche allo sport; l’estromissione dal circuito televisivo delle poche voci discordi (Elena Basile e non solo); la soggiacenza ai voleri di Usa e Nato; il sostegno a un regime come quello israeliano, autore di eccidi e crimini contro l’umanità e ora imputato anche di genocidio presso la Corte dell’Onu. Ce n’è più di quanto basti per affermare che questa non è più una democrazia, pur imperfetta come tutte, bensì una forma camaleontica di regime, ovvero una dittatura senza un dittatore, sostituito dall’invisibile Grande Fratello prefigurato da Orwell già nel 1949. Questo è vero di tutto l’Occidente, che una volta era portatore di un’idea di civiltà e che ora si è involuto in questa disgustosa prigione delle idee, in una misura che né lei né io avremmo potuto prevedere anche solo 3 anni fa.

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