Giù l’evasione fiscale solo con Conte premier

Sul fronte della lotta all’evasione fiscale, il governo Conte recuperò 7 miliardi. Ora con Meloni riparte la pacchia.

Giù l’evasione fiscale solo con Conte premier

Se il buongiorno si vede dal mattino, il governo Meloni sul fronte della lotta all’evasione fiscale è partito sicuramente col piede sbagliato. Dall’innalzamento del tetto all’uso del contante, inserito in Manovra, al tentativo, che l’Europa gli ha fatto rimangiare, di limitare i pagamenti elettronici. Per non parlare dei condoni e delle sanatorie varati.

Il governo Meloni sul fronte della lotta all’evasione fiscale è partito sicuramente col piede sbagliato

Bankitalia nel corso della sua audizione sulla legge di Bilancio non solo ha ricordato al governo che i limiti all’uso del contante, pur non fornendo un impedimento assoluto alla realizzazione di condotte illecite, rappresentano un ostacolo per diverse forme di criminalità ed evasione. Ma ha anche rammentato che l’uso dei pagamenti elettronici, permettendo il tracciamento delle transazioni, ridurrebbe l’evasione fiscale.

Anche le Raccomandazioni specifiche per l’Italia formulate dall’Ue nell’ambito del semestre europeo muovono da tale presupposto. Nello specifico, nel 2019 si suggeriva all’Italia di “contrastare l’evasione fiscale, in particolare nella forma dell’omessa fatturazione, tra l’altro potenziando i pagamenti elettronici obbligatori, anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti”.

La definizione di efficaci sanzioni amministrative in caso di rifiuto dei fornitori privati di accettare pagamenti elettronici era inclusa tra i traguardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza relativi al primo semestre di quest’anno. Da qui la marcia indietro del governo. Eppure l’evasione è un fenomeno grave che storicamente colpisce il nostro Paese.

L’Italia, in base ai dati forniti recentemente dalla Commissione Ue, è risultata maglia nera tra i Ventisette per l’Iva non riscossa: un buco nero da oltre 26,2 miliardi. Nonostante questo, in base alla relazione della commissione istituita presso il ministero dell’Economia sui fenomeni dell’economia non osservata, emergono alcuni progressi fatti dal nostro Paese su questo fronte.

L’evasione con Conte a Palazzo Chigi si è ridotta di 7 miliardi

Nel rapporto si sottolinea come le politiche portate avanti in anni recenti abbiano avuto effetti positivi di riduzione dell’evasione. In particolare due interventi: lo split payment – cioè la scissione dei pagamenti – e la fatturazione elettronica obbligatoria. La prima è stata introdotta dalla legge di Stabilità 2015, la seconda dalla legge di Bilancio 2018. Ebbene al 2019 l’evasione fiscale si è ridotta di 7 miliardi. Rispetto ai 106 miliardi di imposte e contributi non versati nel 2015 siamo passati ai 99 miliardi registrati nel 2019.

Anche la propensione all’evasione, come il tax gap, è scesa negli ultimi anni: era al 22,6% nel 2014 – quindi le tasse evase erano il 22,6% di tutte quelle che sarebbero dovute entrare nelle casse dello Stato – e al 18,5% nel 2019. Per soddisfare i requisiti del Pnrr, questo dato dovrebbe scendere al 17,6% nel 2023 e al 15,8% nel 2024. Un obiettivo ambizioso, che come fa notare la fondazione Openpolis, di questo passo difficilmente il governo centrerà.

Anche perché l’andazzo è quello già inaugurato dal governo Draghi tra condoni e sanatorie e cancellazione di misure che funzionano. Come il cashback introdotto dal governo Conte II a luglio 2020 e diventato operativo il primo gennaio 2021, dopo un progetto sperimentale attivo tra l’8 e il 31 dicembre 2020. Il sistema si suddivideva in due parti: la prima consisteva nel rimborso del 10 per cento di quanto speso attraverso almeno 50 transazioni con carte fino a un massimo di 150 euro a semestre.

La seconda parte, il superbonus, prevedeva un rimborso forfettario di 1.500 euro alle prime 100 mila persone che avrebbero effettuato il numero maggiore di transazioni. Parallelamente era stata avviata anche la lotteria degli scontrini. Lo strumento ha prodotto benefici effetti in termini di incentivazione dei consumi, gettito aggiuntivo e recupero del sommerso. A certificarlo il report del The European House-Ambrosetti.

L’introduzione del cashback nel mese di dicembre 2020 – si leggeva nel Report – ha generato consumi addizionali pari a 1,1 miliardi di euro, a fronte di rimborsi previsti per 223 milioni di euro.
Per tutto il 2021 veniva previsto un effetto addizionale sui consumi pari a 9,3 miliardi, a fronte di una dotazione finanziaria di 1,75. Per il 2022, invece, si stimavano consumi addizionali pari a 13,9 miliardi, a fronte di costi previsti per 3 miliardi.

Muovendo da un’aliquota media calcolata sul paniere dei consumi delle famiglie italiane, era stato possibile calcolare il gettito aggiuntivo per lo Stato derivante dai consumi, per un totale cumulato di circa 4,4 miliardi fino al 2022. Peccato però che Mario Draghi a fine giugno 2021, facendo contente le destre, abbia deciso di cancellarlo tra le proteste del M5S. Com’è noto, spesso, se in Italia un’iniziativa funziona la si blocca.

 

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