Gli indignati dalla sentenza per Stefano Cucchi che se ne fregano del Cavaliere. Garantisti a sentenze alterne: i giudici sono buoni solo quando gli pare

di Giorgio Marchetti

Giudici eroi quando condannano l’imputato Berlusconi, giudici canaglie se assolvono le guardie carcerarie. È il “doppiopesismo” tipico dei giornali di sinistra. Quelli che individuano un nemico a priori, quelli del con noi o contro di noi.
Ha un retrogusto amaro anche per questo, la sentenza per la morte di Stefano Cucchi. Quel verdetto che ha condannato solo i medici con pene assolutamente irrisorie e che nell’aula bunker di Rebibbia ha fatto esplodere la rabbia del pubblico. Dimenticate le lezioni, dimenticato l’abbandono di incapace. “È stato un processo a Stefano, a me e alla nostra famiglia” ha commentato ieri Ilaria Cucchi, la sorella della vittima, che insieme al senatore Luigi Manconi, ha indetto una conferenza stampa in senato. “A volte – ha continuato Ilaria – mi chiedo se ho fatto bene a fare tutto questo. Volevamo un processo e dare giustizia, invece hanno fatto un processo a lui, alla nostra famiglia, ai nostri rapporti, alle sue scelte e alla sua magrezza”.
E se l’amarezza della famiglia è tanta, anche alcune testate giornalistiche all’indomani del verdetto si scagliano contro la giustizia. Il Fatto quotidiano, per esempio, punta tutto su una fotografia, quella di Stefano Cucchi, privo di vita e coperto da lividi. “L’hanno ridotto così”, si legge sotto l’immagine. “Ingiustizia è fatta”, è il titolo che sceglie invece Il Manifesto. I giornali di sinistra si schierano contro la sentenza e contro il sistema. Fa però riflettere questa reazione. Soprattutto perché si tratta di due testate, non le uniche, che hanno sempre sposato acriticamente ogni giudizio della magistratura in altre occasioni.
Una su tutte, il processo Ruby nel quale è coinvolto Silvio Berlusconi. Un procedimento nel quale sia la parte offesa che l’imputato dichiarano la stessa cosa: non ci sono stati rapporti sessuali. Eppure, malgrado questo, i giudici continuano a voler sostenere che il fatto sia avvenuto, che si tratti di prostituzione minorile. E questo, naturalmente, con il benestare degli stessi giornali che ora condannano i magistrati per il caso Cucchi, che usano la giustizia come se fosse una fisarmonica. Due pesi e due misure insomma. Da una parte l’equità di un processo in cui ci si chiede ormai chi sia la parte lesa, dall’altra invece l’illegittimità di un verdetto che assolve gli infermieri e le guardie carcerarie, condannando i colpevoli della morte di un trentenne ad appena due anni di carcere. Ovviamente, con pena sospesa.