Gratta&Vinci, a perdere è lo Stato

di Gaetano Pedullà

Oggi sulla Notizia torniamo a parlare dell’industria del gioco. Non è la prima volta che ce ne occupiamo, ma per una serie di motivi riprendiamo l’argomento. Faremo la figura degli ingenui che indicano il re nudo, ma mentre arriva in seconda lettura alla Camera una legge di stabilità che porta la tassazione sulla casa a livelli mai visti, mentre il taglio del cuneo fiscale diventa appena una mancia alle imprese, mentre non c’è un euro per lo sviluppo, lascia perplessi che nessuno ponga la questione dell’imposizione fiscale sulle potenti (e ricche) società concessionarie del gioco d’azzardo. E dire che dagli ultimi dati ufficiali forniti proprio dall’Amministrazione dei monopoli, risulta che da slot machine, lotterie e gratta&vinci lo Stato incassa meno dei suoi concessionari (si veda La Notizia del 14 novembre scorso). Un’assurdità assoluta, che i gruppi privati spiegano con l’alto payout (cioè il montepremi distribuito, soprattutto sui giochi online). Ora, a parte il fatto che tutti questi vincitori non si vedono in giro, se lo Stato deve aumentare una tassa aumenti quella sugli sciocchi piuttosto che l’imposta sulla casa o su chi lavora. E si faccia rispettare, incassando una quota dei proventi adeguata al giro d’affari messo in mano alle varie Snai, G-tech/Lottomatica, Bet e Atlantis, Intralot e tante altre. Diversamente, dal punto di vista del Fisco e dell’utilità collettiva, non si spiega che differenza c’è tra questi gruppi e il gioco illegale. Ora è chiaro che dietro il gioco si muovono lobby gigantesche, capaci di convincere il Fisco italiano ad accordare ai concessionari sconti mostruosi, come nel caso dei 98 miliardi per le slot machine prima ridotti a 2,5 miliardi e poi ad appena 127 milioni, per di più ancora oggetto di transazione. La politica che da una parte ci tartassa e dall’altra fa di questi regali (per quale motivo? Dietro quali vantaggi?) dovrebbe quanto meno risponderne.