Grillini costretti al voto online. Ma hanno deciso solo pochi click. Parla Panarari: mossa per placare i delusi, soprattutto al Sud

Una decisione che presenta indubbiamente dei rischi (compreso quello sulla privacy), come ragiona parlando con La Notizia Massimiliano Panarari

Non ha precedenti in Italia la decisione del Movimento 5 Stelle (M5s) di mettere in votazione un accordo propedeutico alla formazione di un Esecutivo, come successo ieri sulla piattaforma Rousseau per il “Contratto per il Governo del cambiamento” sottoscritto da Luigi Di Maio con la Lega di Matteo Salvini.

Anche e soprattutto sotto il profilo della comunicazione politica, malgrado per qualcuno quello tra il capo politico dei pentastellati e il leader del Carroccio sia stato un negoziato da Prima Repubblica. Una decisione che presenta indubbiamente dei rischi (compreso quello sulla privacy), come ragiona parlando con La Notizia Massimiliano Panarari, docente di  Campaigning e Organizzazione del consenso alla Luiss di Roma e consulente di comunicazione politica e pubblica. Ma che, al tempo stesso, sta nell’ordine delle cose, vista la natura del Movimento il cui “fondamento della legittimazione politica – ricorda ancora Panarari – risiede proprio alla Rete”.

Insomma professore, tanto di innovativo quanto nulla di così scandaloso.
“Quella di Di Maio è una decisione consustanziale alle caratteristiche strutturali del Movimento. Questo è stato un processo politico lungo e non è stato esattamente in linea con la breve storia del M5s: durante le trattative abbiamo visto in campo delle strategie da Prima Repubblica. Inoltre, la forza politica con cui Di Maio ha scelto di sottoscrivere il contratto di Governo ha sì elementi comuni, ma anche discordanti rispetto alla pur gassosa ideologia grillina. L’intento, da un punto di vista politico e comunicativo, è quello di rinvigorire l’idea di democrazia orizzontale dei pentastellati smussando gli elementi più problematici. Per esempio, è noto che lo zoccolo duro dell’elettorato del M5s è al Sud, e di Sud in questo accordo si parla poco o nulla”.

Secondo lei il Movimento, a iniziare da Di Maio, lo ha vissuto come un obbligo? Una circostanza che proprio non si poteva evitare?
“È sempre difficile fare previsioni o dare giudizi su quello che accade nel M5s, viste le sue geometrie variabili e, a mio avviso, la mancanza di un dibattito trasparente e di un’articolazione della catena decisionale che renda decriptabile quello che accade. Certo, le critiche mosse a Di Maio durante l’elaborazione del contratto hanno sicuramente reso necessario questo passaggio. Soprattutto per Davide Casaleggio, che interpreta il ruolo del partito-Movimento attraverso la consultazione sulla sua piattaforma Rousseau”.

Qualche giorno fa la politologa Sofia Ventura ha fatto notare come a esprimersi sul contratto sarebbe stata una percentuale bassa di iscritti rispetto agli 11 milioni di votanti Cinque Stelle alle ultime elezioni, sottolineandone i rischi. Tra cui quello di una evaporazione della funzione della rappresentanza. Condivide?
“Sì. Però vede: ci troviamo di fronte a un Movimento la cui maggior parte dell’elettorato non attribuisce grande importanza alla congruenza tra detto e fatto dagli eletti. Anche in questo caso, a cominciare dall’aspetto comunicativo, ci sono differenze sostanziali con le liturgie classiche”.

Meglio la ‘gazebata’ che la Lega ha preparato per oggi e domani, allora?
“La differenza, anche stavolta, sta nel background dei due partiti: il Carroccio è maggiormente radicato sul territorio, quasi l’ultima espressione di un’articolazione organizzativa novecentesca da partito di modello leninista. Una dimensione che ai grillini appunto non interessa”.