Non sono giorni facili per Giorgia Meloni. La guerra in Ucraina la sta mettendo in una posizione difficile e scomoda e i suoi soliti equilibrismi rischiano di non essere più sufficienti a farla a stare a galla. È stretta tra l’incudine e il martello tanto sul proscenio internazionale, tra l’alleato e amico Donald Trump da una parte e il leader ucraino Volodymyr Zelensky dall’altra, quanto a livello di politica interna dove deve guardarsi le spalle dall’alleato leghista, suo vicepremier e ministro, Matteo Salvini.
Sull’Ucraina Meloni in bilico tra Trump e Zelensky deve guardarsi le spalle pure da Salvini
La visita di Zelensky a Roma è coincisa il giorno prima con l’ora, forse, più difficile per l’Ucraina. Il numero uno di Kiev è arrivato nella capitale per incontrare la premier mentre i media di tutto il mondo rilanciavano le parole di Trump contro di lui. Parole che avevano tanto il sapore di un disimpegno definitivo del tycoon dalla causa ucraina. Meloni è consapevole che non si possa fare a meno dell’alleato americano per la fine delle ostilità a Kiev e questo concetto lo avrebbe ribadito anche a Zelensky, convincendolo a fare qualche sacrificio.
Ma nello stesso tempo non può rinnegare il sostegno che fin qui ha assicurato all’Ucraina fino addirittura, a suo tempo, scommettere sulla sua vittoria. Dunque allo stesso Zelensky ha assicurato che i pacchetti di armi – dodici dall’inizio del conflitto – continueranno ad essere inviati. Mentre sul Purl (il meccanismo di acquisto di armamenti americani da girare a Kiev) sono ancora in corso riflessioni.
Meloni rassicura Zelensky, Salvini lo scarica
Questo significa che tanto Meloni quanto l’altro vicepremier di Forza Italia e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, hanno assicurato che entro la fine del mese arriverà in Consiglio dei ministri il decreto per la proroga di un anno dell’autorizzazione all’invio di armi a Kiev. Peccato che mentre Meloni e Tajani rassicuravano Zelensky su questo punto, la Lega puntasse i piedi in direzione contraria. Che quel decreto armi sia indigesto al Carroccio è cosa nota.
“Sarebbe bene, vista la situazione attuale, attendere l’evoluzione delle trattative in corso sul piano di pace Usa così da poter definire un provvedimento pienamente coerente con il percorso diplomatico intrapreso e in grado di includere le garanzie di sicurezza per l’Ucraina che emergeranno dal negoziato internazionale”, ha ribadito ieri il capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo, interpellato da Affaritaliani. Tanto che il provvedimento è slittato ancora e non sarà nell’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di oggi.
Salvini: non tolgo soldi alla sanità per un guerra persa
Ma, cosa ancora più grave, è che mentre Zelensky si accomiatava dalla premier il leader leghista scaricasse definitivamente l’Ucraina. “Noi non siamo in guerra contro la Russia, che peraltro né Napoleone né Hitler sono riusciti a mettere in ginocchio. Prima ci si siede al tavolo e si trova un accordo, meglio è per tutti. Anche perché questa guerra è già costata 300 miliardi di dollari, e l’anno prossimo Trump ha già detto che non metterà più soldi, e solo all’Europa costerebbe 140 miliardi di euro. Non tolgo soldi alla sanità italiana per fare andare avanti una guerra che è persa”, ha incalzato Salvini.
Un accordo “è complicato, è chiaro, ma Trump ci è riuscito per Israele e Hamas, diamogli credito. Poi è chiaro che Trump ha suoi interessi, ma la posizione del governo italiano è equilibrata”, ha insistito il leader leghista. E se Trump ha definito i leader Ue deboli e decadenti anche Salvini si accoda a questo giudizio. “La critica di Trump immagino non sia ai cittadini, cioè agli italiani, ai tedeschi, agli spagnoli, ma ai vertici, alla burocrazia europea, che è quella che contesto anch’io da anni, senza aspettare Trump. Sono quelli che ci impongono regole folli sulle caldaie, sui caminetti, sui motorini, sui furgoni”. Non c’è dubbio: il momento è difficile per Zelensky ma anche per Meloni.