Hollande e Obama vanno alla guerra. Il mondo sta alla finestra. La Francia annuncia i raid per mercoledì, Washington frena. Attesa per il G20 di San Pietroburgo in programma giovedì

da New York
Massimo Magliaro

Dale Gavlak è da più di venti anni che vive e lavora in Medio Oriente. Lo conosce come le sue tasche. Lo ha girato in lungo e in largo per conto della BBC e adesso lo fa per conto dell’”Associated Press”, da tutti ritenuta la più grande agenzia del pianeta. La credibilità di Gavlak è insomma a prova di bomba. Ieri nei sobborghi di Damasco, a Ghouta, ha intercettato un gruppo di ribelli, un gruppo autorevole. Gli hanno detto che ad utilizzare le armi chimiche sono stati loro. Gliele hanno fornite i servizi di spionaggio sauditi, alla testa dei quali c’è il principe Bandar bin Sultan, impegnatissimi nella lotta contro il regime di Bashar el-Assad. Glieli hanno forniti ma, hanno riferito, non gli hanno detto come usarli nè tantomeno gli hanno fatto un minimo di affiancamento, di istruzione. E loro li hanno maneggiati in modo maldestro e da lì è nata la strage di 1350 persone. Non voluta, sia chiaro. Ma avvenuta.
E’ stato un sasso nello stagno. Come quello lanciato l’altro giorno da Carla del Ponte che alla TV svizzera aveva detto che non c’era la minima prova sulla responsabilità di Assad. E come le affermazioni di fonti riservate dei servizi segreti americani che ventiquattro ore fa avevano detto al “New York Times” che non era sta trovata la “pistola fumante” contro il Governo di Damasco. Ecco perchè il Segretario di stato americano, Johm Kerry, ha fatto in pompa magna l’annuncio che Assad aveva ucciso 1429 persone.

Usa e Francia isolati
L’avventurismo che caraterrizza l’ultima trovata bellicista di Obama piace ormai solo al francese François Hollande, all’Emiro del Qatar ed alla famiglia reale saudita. Il resto del mondo continua a dire no: il Canada (ha parlato il primo ministro Stephen Harper), la Germania (lo ha ribadito il ministro degli Esteri), l’Italia (Emma Bonino è stata durissima: si rischia una deflagrazione mondiale, ha detto), il Patriarca greco-melchita Gregorios III Laham (di ritorno da Damasco e da Beirut), il Patriarcato ortodosso di Mosca (se ne è fatto portavoce il Metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento relazioni internazionali il quale ha detto addirittura che “giustizieri internazionali sacrificano i cristiani”). Tutti hanno detto: non se ne parla. Giovedì e venerdì della prossima settimana a San Pietroburgo si terrà il G-20 dove la questione siriana, ufficialmente, non figura all’ordine del giorno ma un attacco più o meno imminente potrebbe cambiare l’agenda dei lavori. Nè è previsto un bilaterale Obama-Putin, almeno per ora. Lo ha detto ieri il consigliere diplomatico del Cremlino Iuri Ushakov, rammentando che la vista che Obama avrebbe dovuto fare a Mosca qualche settimana fa era sta annullata a causa dello spionaggio americano verso la Russia. Obama deciderà cosa fare, come e quando solo sulla base degli interessi americani nella regione mediorientale. Lo ha detto con franchezza Caitlin Hayden, un dirigente della sicurezza americana. Ma a gli interessi americani in Siria crede solo il 21 per cento degli americani, secondo un sondaggio della IPSOS.

L’opinione degli americani
I sondaggi, che negli Usa sono una cosa seria. Secondo la NBC il 79 per cento degli intervistati chiede che Obama si muova solo dopo un sì del Congresso. E lo chiedono anche 150 parlamentari di entrambi i partiti. Ma lui non ne vuol sapere. Sondaggi anche in Israele, Paese chiave in tutta la vicenda. Il “Maariv” ha riferito che il 77 per cento degli israelani non vuole l’intervento. Anche perchè una azione militare in Siria potrebbe facilmente debordare in Giordania, percepito come la longa manus dell’Arabia saudita e luogo di eccezionale densità degli sfollati dal Paese in guerra, in Libano, da sempre visto dai siriani come il “pezzo mancante” per fare la Grande Siria con uno sbocco al mare che oggi di fatto non c’è, e Israele, da sempre nemico mortale di tutto l’Islam. Nel nord di Israele Benjamin Nethanyau ha rafforzato le postazioni antimissilistiche con batterie del tipo Iron Dome e i classici Patriot.Manifestazioni antiattacco a New York e a Parigi, le città dei due Paesi i cui Governi sembrano abbracciati in un inno mistico alla follia. A proposito del socialista Hollande, il quale cerca disperatamente di prendere il posto, all’improvviso lasciato libero dalla Gran Bretagna, di miglior alleato europeo degli Usa, va ricordato che giusto cinquanta anni fa il gen. De Gaulle davanti al Consiglio dei ministri criticava gli americani per la guerra in Vietnam. E’ passato mezzo secolo e oggi un socialista all’Eliseo (Mitterrand avrebbe fatto lo stesso?) si trova a recitare il copione rovesciato di allora, annunciando che già mercoledì potrebbe esserci l’attacco. Le dichiarazioni di Kerry sui 1429 uccisi da Assad non hanno spostato di un millimetro questa montagna di dubbi, perplessità, incredulità che piovono da tutto il mondo occidentale a cui vanno aggiunte le posizioni note di Russia, Iran, Cina, America latina. Quelle parole forse avrebbero dovuto essere la svolta nella opinione pubblica mondiale e nelle Cancellerie. Non pare che lo scopo sia stato raggiunto. Nè poteva esserlo. Ron Paul alla FOX ha detto che l’attacco alla Siria è la “false flag”, la falsa bandiera di Obama, premio Nobel della Pace.