I beni confiscati ai boss in Lombardia minacciati da politica e affari

Con 1.590 beni confiscati alle mafie la Lombardia è la quarta regione per sequestri, dopo Sicilia, Lazio e Calabria.

I beni confiscati ai boss in Lombardia minacciati da politica e affari

C’è Casa Chiaravalle che accoglie i bisognosi: quattro imprese sociali che offrono, tra l’altro, una comunità per minori e housing sociale temporaneo. Ma c’è anche l’Osteria La Tela, a Rescaldina, o il centro di produzione di artigianato Parallelo Lab a Castellanza. Tutte realtà che in comune hanno il fatto di essere beni confiscati alle mafie e restituiti alla comunità, utilizzati per fini sociali. In occasione dell’anniversario della legge n. 109/96, l’associazione Libera ha pubblicato l’edizione 2024 di “Raccontiamo il bene” per documentare le esperienze di riutilizzo sociale dei beni sottratti alle mafie. Storie edificanti, che però, secondo Libera, sono a rischio, per l’azione della politica. Tentativi di privatizzazione, disinteresse e attacchi alle misure di prevenzione, le nubi che aleggiano.

Con 1.590 beni confiscati alle mafie la Lombardia è la quarta regione per sequestri, dopo Sicilia, Lazio e Calabria

In Lombardia in totale sono 1.590 i beni immobili “destinati” (cioè definitivamente sottratti ai mafiosi e trasferiti a Stato o Enti locali, dopo i tre gradi di giudizio), mentre sono 1552 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati (per questi il giudizio definitivo non è ancor arrivato e sono gestiti da un amministratore nominato dal tribunale). Sul lato delle aziende, in regione sono 135 quelle aziende, mentre sono 238 quelle ancora in gestione. A gestire questa valanga di beni – la Lombardia, con 1552 beni immobili in gestione, sui 22.548 totali, è la quarta regione in Italia – sono 151 diverse realtà, presenti in 74 comuni. Dai dati emerge che più della metà delle realtà sociali è costituita da associazioni (82), mentre sono 40 sono le Coop sociali e consorzio di cooperative. Tra gli altri soggetti gestori del terzo settore, ci sono 7 realtà religiose e infine 8 fondazioni.

“Oggi, dopo 28 anni dall’approvazione della legge 109 – spiega Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera – con 1065 soggetti della società civile organizzata che gestiscono beni confiscati in tutta Italia,  possiamo scrivere con convinzione che il primo obiettivo è stato raggiunto: i beni confiscati, da espressione del potere mafioso, si sono trasformati in beni comuni, strumenti al servizio delle nostre comunità”. Tuttavia, continua Giannone, “raccogliamo segnali preoccupanti del mondo della politica: un attacco costante alle misure di prevenzione, tentativi di privatizzare i beni confiscati e piegarli alla logica dell’economia capitalista, una gestione delle risorse dedicate ad oggi piuttosto confusionaria. Non possiamo accettare che ci siano passi indietro su questo. Le misure di prevenzione si sono dimostrate uno dei più importanti strumenti nella lotta alle mafie e alla corruzione, perché da subito hanno agito sul controllo economico e sociale con il quale i clan soffocano i territori.”

Intanto continua lo scontro tra Pm della Dda e il Gip sull’operazione Hydra. Gli atti finiscono al vaglio del Riesame

E se non si ferma l’attività dei corpi sociali, altrettanto viva è quella degli investigatori. Nei giorni scorsi c’è stato il riesame, presso il Tribunale di Milano contro il provvedimento del gip Tommaso Perna che aveva bocciato la ricostruzione accusatoria della Dda e rigettato la richiesta di custodia cautelare in carcere per 79 indagati coinvolti nell’inchiesta “Hydra”. Per i pm esiste un “Sistema Lombardia”, un accordo tra le varie mafie presenti sul territorio riunite in un’unica consorteria. Tesi sconfessata dal Gip. Gli investigatori hanno depositato nuove dichiarazioni di collaboratori di giustizia che confermano l’ipotesi della procura.

Infine ieri tre persone sono finite in manette con le accuse di frode fiscale, reati tributari, indebita compensazione di crediti fittizi, riciclaggio e bancarotta fraudolenta. Tra questi anche un imprenditore,  nipote di Cosimo Maiolo, 58 anni, condannato nel 2023 in primo grado a quasi 13 anni dal Tribunale di Milano per una serie di reati connessi all’attività della locale di ‘ndrangheta di Pioltello. Sequestrati anche beni per oltre due milioni che sarebbero i profitti illeciti provenienti dai reati contestati agli indagati. Coop di pulizia e logistica i settori di attività.