Bazoli è indagato ma Banca Intesa non si scuote

di Sergio Patti

Ci sono inchieste e inchieste. Decisioni della magistratura che indignano e altre che possono essere beatamente ignorate. Soprattutto se prendono di mira personaggi veramente intoccabili. Dunque, mica i politici o i potenti dell’ultima ora. In Italia resistono dei santuari dove vige il principio dell’extraterritorialità su ogni regola. E dunque dove una volta valeva il concetto che le azioni non si contano ma si pesano (copright Enrico Cuccia, per spiegare che i soldi di Agnelli valgono più dei soldi di un oscuro signor Rossi), alla stessa maniera le indagini della magistratura se colpiscono i memici sono sacrosante (e su questo i richiami moraleggianti si sprecano) ma poi sono eventi che non producono effetti se coinvolgono gli amici. Una doppiezza che ormai non meraviglia, ma che fa sempre effetto quando a mostrarla con olimpicca faccia di bronzo sono personaggi teoricamente di garanzia, come il presidente del Consiglio di gestione di Banca Intesa SanPaolo, Gian Maria Gros-Pietro.

Non è successo niente
Interpellato a margine della presentazione del Rapporto sui settori industriali, Gros-Pietro ha risposto a chi gli chiedeva di eventuali riflessi sulla posizione di Giovanni Bazoli nel suo ruolo in Intesa Sanpaolo (dove è presidente del Consiglio di sorveglianza) a causa dell’inchiesta su Ubi Banca che lo vede indagato per ipotesi di reato rilevanti, come l’ostacolo all’attività di vigilanza. “Ho letto sui giornali che c’è un’indagine in corso”, ha detto Gros-Pietro facendo già finta che la notizia non sia esplosa come una bomba. “La posizione del Professore è, così come ci si aspetterebbe da lui, di grande rispetto per la magistratura”, ha poi aggiunto, spiegando che gli è “parso di capire che i patti a cui si fa riferimento sono di dominio pubblico, sono stati comunicati all’Autorità di Vigilanza, quindi aspettiamo che tutto si chiarisca”. Ma come? Neppure l’ombra del sospetto che la magistratura sappia fare il suo lavoro? Neppure un po’ di pudore nel riconoscere che il metodo Bazoli – cioè la spartizione degli incarichi di vertice della banca tra i soliti noti, senza considerare gli altri azionisti, come sostiene l’accusa – è il metodo con cui questo Paese vede sempre la solita partita di giro ai vertici di tutto, escludendo chi merita o non appartiene alla giusta parrocchia? Così il sistema si chiude a riccio proteggendo i suoi grandi vecchi. Bazoli è un caso estremo, vero simbolo di un potere che non molla, vista la faccia tosta con cui si è fatto riconfermare un anno fa alla guida del Consiglio di sorveglianza della principale banca italiana, nonostante i suoi 80 anni suonati e soprattutto la distruzione di valore che negli ultimi esercizi ha penalizzato non poco gli azionisti di Intesa San Paolo.

Il caso Guzzetti
Di casi simili, però, ce ne sono tanti altri. In un Paese immobile, d’altronde, ci si mette un attimo a ritrovarsi ottantenni sempre nello stesso ruolo. Chiedere a Giuseppe Guzzetti, un ex democristiano che ha capito un secolo fa dove stava il potere vero, e si è messo a fare il banchiere, arrivando a fare il presidente a vita della ricca Fondazione Cariplo (e dell’Acri, l’associazione delle Fondazioni bancarie). A una veneranda età, che per pudore non ricordiamo, Guzzetti adesso è stato pizzicato al telefono nel giro di intercettazioni tra i presunti protagonisti della cupola affaristica che puntava a controllare gli appalti dell’Expo. Non c’è nessuna ipotesi di reato a suo carico, sia chiaro, ma la permanenza all’infinito degli stessi personaggi ai vertici delle istituzioni economiche (o politiche) provoca inevitabilmente quelle relazioni che possono diventare pericolose quando si incrociano politica e affari. Per questo il ricambio è necessario. Bazoli e Guzzetti permettendo.