Per i giudici Mohamed Shahin, l’imam di Torino, dallo scorso mese di novembre trattenuto nel cpr di Caltanissetta, non è un elemento pericoloso per lo Stato, tanto che lo hanno liberato ieri. Per il ministro Matteo Piantedosi invece deve essere espulso e rimandato in Egitto, dove rischia la vita, essendo un oppositore del generale Al Sisi.
Accolto il ricorso di Shahin
L’ennesimo scontro tra la Magistratura e il Viminale (cioè il centrodestra) si è consumato ieri, dopo che i giudici della Corte d’appello di Torino hanno accolto il ricorso dell’Imam perché “sono emerse nuove informazioni” ritenute “degne di rilievo”. Così Shahi era tornato libero con un permesso di soggiorno provvisorio emesso dalla Questura di Caltanissetta.
Per la corte infatti non è un “soggetto pericoloso”, è “incensurato” e i contatti con soggetti legati al mondo del terrorismo “sono isolati e decisamente datati”.
Insorge il centrodestra, che attacca la Magistratura (di nuovo)
Alla notizia è insorto il centrodestra, da FdI a Lega, Forza Italia e Noi moderati, che hanno colto l’occasione per attaccare la magistratura. Per Fratelli d’Italia, si tratta di una “decisione incomprensibile”, “l’ennesima conferma del livello di politicizzazione di una parte della nostra magistratura, al punto da mettere a rischio la stessa sicurezza dei cittadini”.
Per Matteo Salvini, “è l’ennesima invasione di campo di certa magistratura ideologizzata e politicizzata che si vorrebbe sostituire alla politica. Dico ‘si vorrebbe’, perché fortunatamente fra poche settimane, a inizio marzo, c’è un appuntamento con la storia che è il referendum per dire sì alla riforma della giustizia, per allontanare un po’ di questa ideologia dai tribunali”.
Il Viminale ricorrerà in Cassazione
Pressioni raccolte da Piantedosi che ha confermato comunque che la procedura di espulsione e rimpatrio andrà avanti comunque. Il ministero dell’Interno, infatti, farà ricorso in Cassazione per ottenere il rimpatrio dell’imam ritenuto pericoloso per la sicurezza nazionale.
Shahin era stato raggiungo dal decreto di espulsione per aver sostenuto, nel corso della manifestazione a Torino del 9 ottobre “che il 7 ottobre era stata una reazione a 80 anni di violenza”.
Per i giudici ha esercitato la libertà di pensiero e parola
Le parole di Shahin, per i giudici, non integrano reato, ma sono “espressione di pensiero”, tutelata sia dall’Articolo 21 della Costituzione sia dall’articolo 10 della Cedu. “Altro” è la “condivisibilità o meno di tali affermazioni e/o la loro censurabilità etica e morale, ma tale giudizio non compete in alcun modo a questa Corte e non può incidere di per sé solo sul giudizio di pericolosità in uno Stato di diritto e non può incidere di per sé solo sul giudizio di pericolosità in uno Stato di diritto, risultando quindi del tutto inconferente ai fini che interessano in questa sede, contrariamente rispetto a quanto sostenuto dalla Questura”.
Shanin, presente in Italia da oltre 20 anni e “perfettamente integrato e inserito”, è un “soggetto completamente incensurato” e “non vi sono concreti elementi” per formulare “un eventuale giudizio di pericolosità”.
La vicenda e il fascicolo secretato
L’imam era stato colpito dal provvedimento di espulsione firmato dal ministro Piantedosi, e il fascicolo era anche stato secretato. Nei giorni successivi al suo fermo, vi sono state numerose mobilitazioni per chiedere la sua liberazione. Non solo la comunità musulmana. Anche il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, aveva preso le sue parti ricordando Shanin come un “uomo di dialogo”.
Lo scorso 28 novembre, un gruppo di manifestanti aveva preso d’assalto la redazione de La Stampa, al grido di ‘Free Shahin’, un atto dal quale lo stesso imam, dal cpr di Caltanissetta, aveva preso le distanze, condannando ogni forma di violenza.