I medici non operano più per paura dei giudici

di Angelo Perfetti

Nessuno lo dirà apertamente, ma chi frequenta le sale operatorie degli ospedali lo sa bene: cresce il numero dei chirurghi che, vedendo sul tavolo operatorio un paziente molto grave, preferiscono non operare e dunque in qualche modo accompagnarlo alla morte piuttosto che rischiare una causa civile e penale nel caso in cui fallisse il tentativo estremo di salvargli la vita. D’altra parte ormai il rischio di venire travolti da azioni giudiziarie è così elevato che la paura regna sovrana, e non è certo una buona compagna quando si devono prendere decisioni così estreme. La cronica carenza di fondi poi, e la spending review, hanno portato il sistema sanitario a ridurre risorse e personale, con il risultato di stressare oltre misura l’organizzazione dei reparti ospedalieri e in qualche modo far aumentare il rischio di errori.
Gli ultimi casi di una lunga serie su scala nazionale sono quelli del Sant’Andrea e del San Camillo, entrambi grandi ospedali di Roma. Nel primo gli anestesisti sono scesi a quattro, e devono fare la spola tra Rianimazione e reparto, lasciando scoperto ora l’uno ora l’altro. E il rischio che mentre si è in azione da un lato accada qualcosa di brutto dall’altro è elevato; sempre che non accada l’irreparabile nel momento in cui si è impegnati nel tragitto. A quel punto chi ne risponderà davanti alla legge? L’altro caso è quello del reparto Pediatria del San Camillo, dove i turni prevedono 7 notti al mese. Inutile sottolineare che le condizioni psicofisiche dei medici dopo questo tipo di turni siano precarie, con tutto ciò che ne consegue.

Un problema nazionale
“E’ un problema nazionale che abbiamo messo all’attenzione della politica più volte – spiega il dottor Francesco Medici, del Sindacato Medici Italiano – . Non discutiamo il fatto che chi sbaglia debba pagare, ma discutiamo l’organizzazione attuale del sistema che non mette in condizione i medici di lavorare al meglio, aumenta i rischi e non dà certezze di pena – diciamo così – in caso di errore. Se l’imperizia deve essere condannata – prosegue Medico – bisognerebbe però catalogare i danni in tabelle, così come accade per i risarcimenti degli incidenti stradali. Ciò eviterebbe la roulette giudiziaria per la quale si può essere condannati a centinaia di migliaia di euro a discrezione del giudice. E spesso l’entità del rimborso vale un titolo sui giornali; è evidente che qualcuno potrebbe essere indotto per fare notizia a caricare oltremisura la sentenza. Così come – spiega ancora – ci potrebbe essere un giudice tendenzialmente vicino alla categoria dei dottori tentato di calmierare la sentenza, creando a quel punto un danno alla vittima.
La facilità di accesso al sistema giudiziario, crea ulteriori problemi. Ci sono avvocati che consigliano ai propri clienti di provare a fare la causa, tentando la fortuna. Né più né meno come fosse un Gratta e vinci.

Casi limite
Ogni tanto qualcuno vince (famoso è il caso di un risarcimento milionario fatto per una diagnosi prenatale “presumibilmente non fatta”, cioè della quale non si trovavano più i referti. Nasce un bimbo down, e i giudici condannarono medici e ospedale a risarcire i genitori, le sorelle e i nonni), ma più spesso le cause finiscono nel nulla. Comunque il danno all’immagine del medico e alla sicurezza con cui opera è stato fatto. E intanto sono stati pagati avvocati e periti, un giro di soldi continuo. “Le dico solo – spiega il vicesegretario nazionale dell’Associazione nazionale medici – che i radiologi, proprio per evitare guai, si limitano nella maggior parte dei casi a diagnosi descrittive, senza alcuna indicazione ulteriore che invece è proprio ciò che si chiede ad un radiologo. Ma tant’è, ormai la paura corre in corsia”. E poi diciamolo: “nei processi viene nominato un perito; se il perito chiarisce che il medico ha sbagliato paga il medico, ma se alla fine si chiarisce che ad essere sbagliata è stata la perizia, chi paga? Glielo dico io: nessuno. E questo non va bene”.

Il costo sociale
Dunque mettere i medici nel mirino, in assenza di regole certe, provoca solo danni. Anche in termini economici. Per non essere accusati di aver sottovalutato qualcosa, nei reparti ospedalieri si fanno sempre più indagini diagnostiche, che vanno a comporre la cartella clinica. Con un costo enorme per la collettività. Uno spreco inutile.

 

In Liguria una lastra sbagliata costa 150mila euro

Ne ha dovuti pagare 150mila, ma la richiesta di partenza era addirittura di 407.748 euro. Una radiologa dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure è stata condannata dalla Corte dei Conti per errore professionale, dopo che un esame radiografico standard non ha evidenziato una neoplasia. Una mancata segnalazione che non ha provocato direttamente il decesso del paziente (il quale un mese dopo aveva fatto un’altra analisi in un altro centro radiografico), ma che ha contribuito comunque a ritardare un’azione di c0ntrasto alla malattia che avrebbe potuto essere messa in campo. Nella difesa del medico, si sono evidenziati non tanto gli aspetti relativi alla lastra in sé, ma le condizioni nelle quali la radiologo era stata costretta ad operare.

Un girone dantesco
In sede di giudizio, la radiologa ha denunciato il contesto nella quale lavorava all’epoca dei fatti: carichi pesantissimi di lavoro e malfunzionamento del programma informatico (e conseguente auto salvataggio del referto, in corso di compilazione, con impossibilità di fatto della correzione). Una sottolineatura tutt’altro che marginale. Sia perché gli stessi giudici contabili hanno fatto uno sconto secco di 100 mila euro. A fronte di una richiesta di 250 mila euro (che è l’esatto importo della transazione tra Ospedale e parenti del defunto, dopo la prima richiesta di oltre 407 mila euro) la Corte ha scritto: “La considerazione delle difficoltà operative nelle quali la convenuta ha svolto il proprio lavoro induce a valutare l’entità del danno in misura inferiore all’esborso effettivo”. Difficoltà operative che si riscontrano in moltissimi ospedali; quando diminuisce il personale, chi c’è deve valutare decide di lastre in poco tempo, e l’errore è dietro l’angolo. Se poi i macchinari e le attrezzature informatiche che utilizza sono inadeguati, tale rischio risulta ancora aumentato.

Il calcolo del danno
Fatto sta che la Asl, dopo aver liquidato i familiari della vittima, si sono rivalsi nei confronti del medico reo di “colpa grave”. “Chi sbaglia paga” è un principio assolutamente condivisibile, ma anche “lavorare in condizioni ottimali” dovrebbe esserlo. Così come anche un parametro tabellare di risarcimento: in questo caso le tabelle del tribunale di Milano portavano a calcolare circa 90 mila euro. Ma il giudice è andato oltre.