I nostri marò e i Tafazzi d’Italia

direttorepeddi Gaetano Pedullà

Che strano Paese che siamo. Paese, sostantivo singolare, che in Italia di singolare ha solo il modo di affrontare ogni tipo di questione. Guardiamo altrove, che sò, agli Stati Uniti. Di fronte a un’emergenza nazionale non c’è politica che tenga. Non c’è polemica o discussione. E’ in gioco la sicurezza nazionale? Democratici e Repubblicani stanno sulle stessa barricata. E affrontano il problema come un sol uomo, con la forza di una falange macedone. In Inghilterra, in Germania, non è diverso.
E veniamo a noi. La storia dei due marò italiani presi in ostaggio in India è nota. I due soldati, accusati di omicidio per aver eseguito un ordine, dunque nell’esercizio delle loro funzioni, sono rimasti in Italia in attesa di un processo che non avrebbe neppure motivo di svolgersi. Il governo italiano aveva dato la sua parola, promettendo che sarebbero tornati in India dopo un permesso. Poi il cambio di programma, supportato da mille motivazioni, a cominciare dalla domanda su quale diritto abbia di giudicare il nostro esercito uno stato diverso dal nostro. Abbiamo fatto bene? Abbiamo fatto male? A mio giudizio benissimo, ma se anche ci fosse chi pensi che abbiamo fatto malissimo e che prima di tutto pacta sunt servanda, possibile che anche su un caso del genere ci si riesca a dividere in Guelfi e Ghibellini? Possibile che ci si presenti all’estero sempre frammentati, litigiosi, indecisi su tutto?
Vediamo così in questi giorni un esercito di editorialisti, moderni Tafazzi d’Italia, che sparano sul governo (o quel che resta) colpevole di aver tradito la parola data. E poco importa se è l’india per prima a non rispettare le convenzioni internazionali facendo prigionieri in tempo di pace (cosa mai vista) due soldati di un esercito straniero. O revochi l’immunità diplomatica al nostro ambasciatore. Gli altri hanno sempre ragione. Grazie Tafazzi.