Il Corriere riscrive l’economia. Ma solo come serve agli editori

di Gaetano Pedullà

Salvate il soldato Nagel! E mentre ci siamo, anche il vecchio generale Bazoli. È questo l’ordine impartito dal Minculpop  di via Solferino. Il prezzo da pagare ai soci forti di un Corriere della Sera ormai utilizzato anche per dirimere le ripicche personali tra potenti. Le pagine da antologia sono quelle del quotidiano di ieri, dove si tira fuori una lettera scritta a mano nel 2002 da un grande banchiere come l’ex amministratore delegato di Mediobanca, Vincenzo  Maranghi, indirizzata a Salvatore Ligresti dopo la conquista di Fondiaria da parte dell’ingegnere di Paternò. In questa lettera, che – non è un refuso – oggi è antica di oltre 11 anni, Maranghi faceva pesare l’impegno di via Filodrammatici al fianco dell’allora patron della Sai.

Il caso Fondiaria Sai
Mediobanca, infatti, per difendere le sue esposizioni in Fondiaria, aveva finanziato generosamente Ligresti che così riuscì a fondere le due compagnie, facendo nascere un colosso delle assicurazioni – Fondiaria Sai – che nelle premesse industriali avrebbe dovuto dare filo da torcere anche alle Generali. Le cose invece non andarono così, anche per via di una gestione da parte della famiglia Ligresti sulla quale pende adesso un procedimento giudiziario con richieste di sequestri cautelativi per centinaia di milioni. La lettera di Maranghi, dunque, non è altro che un documento storico, al quale il Corriere non avrebbe mai dedicato una riga se non tornasse adesso funzionale a una vicenda dei nostri giorni: un’altra lettera – questa volta scritta dalla famiglia Ligresti a Nagel (oggi nella stessa posizione che fu di Maranghi) per chiedere una manleva da 45 milioni, oltre a favori e una buonuscita, in cambio della recente cessione di Fondiaria Sai all’Unipol. Il gruppo assicurativo, travolto dalla crisi finaziaria del 2008, era diventato troppo pesante e nonostante l’ultimo aumento di capitale da 450 milioni sostenuto da Unicredit, rischiava di saltare bruciando oltre un miliardo investito da Mediobanca nella società assicurativa. I Ligresti non avevano scelta, ma prima di togliere il disturbo chiesero qualcosa (e non poco) per loro, con un papello consegnato a Nagel e da questo controfirmato eludendo illecitamente il mercato.
Quest’ultima lettera – molto diversa dalla missiva di Maranghi – è saltata fuori e Nagel oggi è indagato per ostacolo al’attività di vigilanza. A meno che il fuoco di sbarramento del Corriere non lo tiri fuori dalle secche, avvalorando la tesi – anche con arditi paragoni tra documenti fatti passare incredibilmente per omogenei – che la firma dell’attuale ad di Mediobanca sulla lettera dei Ligresti non fu messa per accettazione, ma solo per presa visione. Una barzelletta che se non fosse stata raccontata davvero, farebbe più ridere che piangere.

House organ
Sfogli poche pagine e sempre sul Corriere di ieri un trafiletto ci informa che il nuovo numero uno di Banca Intesa, Carlo Messina, sente il bisogno di prendere le difese di Giovanni Bazoli, accusato da Diego Della Valle di aver fatto il suo tempo come banchiere e come editore (del Corriere, appunto) e dunque di doversi fare da parte. Per il neo consigliere delegato di Ca’ de Sass – che così inizia il suo mandato dimostrando una mentalità da Matusalemme nonostante la giovane età – quelle di Della Valle sono “dichiarazioni che… indignano, tutti noi nella banca, non solo il sottoscritto”. E così scopriamo che l’inamovibile Bazoli, a 80 anni appena riconfermato presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa, sarebbe “il protagonista del recente rinnovamento manageriale del gruppo”. Peccato che rinnovando si sia dimenticato – a 80 anni capita – di inserire se stesso.