Il Csm ostaggio delle correnti. Sulla nomina di Cantone a Perugia si consuma l’ennesima rottura. L’ex capo dell’Anac coordinerà l’indagine sul caso Palamara. Di Matteo parla di incarico inopportuno

Se doveva essere il momento per ricompattare il Csm e magari voltare pagina dopo mesi di fanghi e veleni, la nomina di Raffaele Cantone al vertice della Procura di Perugia non sembra partire con il piede giusto. Anzi si può dire l’esatto opposto perché sul suo nome si è consumata l’ennesima – e dolorosa – spaccatura all’interno del Consiglio superiore della magistratura che ha assegnato 12 voti all’ex vertice dell’Anac e 8 all’attuale procuratore aggiunto di Salerno, Luca Masini. Per il primo hanno votato compatti i cinque consiglieri di Area e anche i laici di tutto lo schieramento politico, ossia i tre in quota M5s, i due della Lega e gli altrettanti di Forza Italia, mentre per il secondo ha votato tutto il gruppo di Piercamillo Davigo, Nino Di Matteo compreso, con 5 voti a cui si sono accodati i 3 di Magistratura indipendente. Scelta diversa da quella di Unicost che, incerta fino all’ultimo minuto su come votare, ha optato per l’astensione.

BAGARRE IN AULA. La scelta tra i due candidati, entrambi dotati di un curriculum ineccepibile, è iniziata con un feroce dibattito in aula dove non sono mancati i toni accesi e le dichiarazioni roboanti tra chi sosteneva Cantone e chi, invece, parteggiava per Masini. Ad accendere la miccia sono state le parole del presidente della Commissione Direttivi e relatore della proposta in favore dell’ex vertice dell’Anac, Mario Suriano, secondo cui “non si può dubitare della indipendenza di Cantone” anche perché “dalle chat” emerse nell’inchiesta sugli incontri carbonari tra toghe e politica, con al centro il pm Luca Palamara, “vediamo che non era un nome gradito e per questo non doveva andare a Perugia secondo persone vicine al presidente del Consiglio che lo nominò all’Anac”.

PRONTA RISPOSTA. Una tesi a cui ha risposto a stretto giro di posta Davigo, leader di Autonomia e Indipendenza nonché relatore della proposta a favore del candidato di minoranza, affermando: “Di Masini nelle chat non si parla proprio e questo è ancora meglio”. Ma è stato l’indipendente Nino Di Matteo a ribaltare completamente le argomentazioni di Suriano perché, a suo parere, proprio l’inchiesta di Perugia non può che essere un ostacolo alla nomina di Cantone in quanto “ha ricoperto un incarico prestigioso di natura politica”, visto che la nomina di presidente dell’Authority “muove da una delibera del Consiglio dei ministri”. Una dichiarazione che ha subito fatto calare il gelo in aula fino a quando lo stesso consigliere ha aggiunto che: “Per questo che non è opportuno che Cantone vada a dirigere proprio quella procura competente sui magistrati in servizio a Roma e su ipotesi di reato che possono riguardare a vario titolo politici o ambienti di potere romano inevitabilmente vicini e connessi a quella stessa compagine politica che fu decisiva nella nomina di Cantone” specificando di riferirsi alla “vicenda Palamara-Lotti”.

Non solo. Di Matteo, pur manifestando la sua stima nei confronti di entrambi i candidati, non nega che Cantone all’Anac “abbia perfezionato la propria professionalità in materia di contrasto alla corruzione, se non altro attraverso i rapporti con le procure”, ma il punto è che “noi abbiamo il dovere di decidere in funzione dell’esigenza di garantire nei confronti dei cittadini l’apparenza di imparzialità”.

MAI PIÙ CASI SIMILI. Ma nonostante le barricate della minoranza, alla fine il Csm è andato avanti puntando su Cantone. Proprio lui che, per uno strano scherzo del destino, se fosse già in vigore la riforma del Consiglio su cui lavora da tempo il guardasigilli Alfonso Bonafede, non si sarebbe neppure potuto candidare. Questo perché l’ormai imminente riforma introdurrà la regola stringente secondo cui i magistrati che hanno deciso di accettare un incarico lontano dai Palazzi di giustizia, venendo collocati fuori ruolo come accaduto per Cantone che ha ricoperto il ruolo di presidente dell’Anac, non potranno subito andare a occupare uffici di procuratori capo o aggiunto ma sarà costretto ad aspettare due anni per proporsi. Questo per mettere fine alla pratica delle cosiddette porte girevoli tra magistratura e politica, un problema atavico del nostro Paese che tutti dicono di voler risolvere ma che nessuno risolve mai, che con una scelta coraggiosa il Csm avrebbe potuto fare propria, anticipando il guardasigilli, semplicemente scegliendo Masini.