Il fallimento dell’autocostruzione. Siamo lontani pure dal Sud America. Farsi casa scavalcando il costruttore può costare caro

di Valeria Di Corrado

Le vittime della storia che racconteremo sono 14 famiglie di Ravenna che hanno investito più di 6 anni della propria vita per costruire una casa di cui è rimasto solo uno scheletro vuoto. Hanno dedicato tutte le energie e il tempo libero a disposizione (in totale 20 mila ore tra dopo-lavoro, weekend e ferie) per mettere uno sopra l’altro i mattoni che ora rischiano di essere rasi al suolo. Hanno creduto in un progetto pensato e voluto dalla propria amministrazione, per poi essere abbandonati.

La cronistoria

Tutto inizia quando il 19 giugno del 2003 il Comune di Ravenna pubblica un avviso per un’indagine preliminare di mercato per la “realizzazione di interventi di integrazione sociale tramite l’utilizzo della metodologia dell’autocostruzione totale” nei lotti di S. Alberto, Savarna o Grattacoppa, Filetto e Piangipane. C’è tempo fino al 7 luglio per dare la propria adesione, ma il 20 giugno (ossia il giorno dopo la pubblicazione dell’avviso) l’associazione Alisei “si propone per la realizzazione dell’intervento chiedendo l’assegnazione dei lotti di terreno individuati”. Dichiara sin da subito di essere un’organizzazione non governativa riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri, dalla Commissione Europea e dall’Onu; di “avere maturato specifica esperienza nel campo dell’autocostruzione in Umbria, Lombardia e Marche”; di “avere un accordo di collaborazione su scala nazionale con Banca Etica”, disponibile a intervenire finanziariamente nel progetto con la concessione di mutui. Il 4 dicembre 2003 il Consiglio comunale delibera di approvare un protocollo d’intesa tra il Comune di Ravenna e l’associazione Alisei, l’unica ad aver presentato domanda. Il fine è nobile, non c’è dubbio: l’autocostruzione è un’opportunità per le famiglie italiane e d’immigrati che non riescono ad avere un alloggio a costi abbordabili. “L’esperienza – è spiegato con toni trionfalistici nella delibera – potrà costituire un centro di sperimentazione che divenga un polo di eccellenza e un modello replicabile”. Il protocollo d’intesa viene firmato il 25 marzo 2004 dall’architetto Ottavio Tozzo, presidente dell’associazione Alisei, e il sindaco di Ravenna Vidmer Mercatali. Il Comune si impregna a mettere a disposizione le aree, rilasciare la concessione edilizia, coordinare e vigilare l’attuazione del progetto. Dal canto suo, Alisei Ong si impegna a “offrire una solida regia e direzione edilizia, assicurare il supporto tecnico e sviluppare i contatti con Banca Etica”. Il 10 maggio 2005 viene pubblicato un bando di selezione per l’area di Filetto destinato a 14 famiglie con un reddito massimo di 31 mila euro, che il 29 marzo 2006 si costituiscono nella cooperativa “Mani unite”.

Dalla Ong alla Srl

Fin qui tutto procede come dovrebbe. Quando però il 3 luglio viene firmato il contratto d’appalto per 1.068.867 euro, ad Alisei Ong subentra Alisei Autocostruzioni Srl che si definisce “la filiazione con personalità giuridica dell’organizzazione non governativa”. “Ci è stato spiegato che per la sua ragione sociale la Ong non avrebbe potuto partecipare all’appalto e che la Srl era il suo distaccamento operativo – precisa Matteo Mattioli, vicepresidente della cooperativa “Mani unite” – Poi, però, con il subentrare dei problemi, Alisei Ong ha fatto lo scaricabarile dicendo di non avere nulla a che fare con la Srl”. Intanto il 25 settembre Banca Etica apre una linea di credito per un milione 245 mila euro con la cooperativa, con scadenza 3 anni. L’11 dicembre 2006 iniziano i lavori, che sarebbero dovuti durare da contratto 1.080 giorni, ma dal mese di ottobre 2008 la fornitura di materiali da parte di Alisei viene interrotta. Inutili le segnalazioni all’amministrazione comunale, il 9 agosto 2009 gli autocostruttori sono costretti a fermare il cantiere. La società non aveva provveduto nemmeno a contattare ditte esterne per installare impianti idraulici ed elettrici, pur continuando a incassare i soldi dalla banca. Il 20 maggio 2010 Alisei Srl viene dichiarata fallita. Un mese dopo l’architetto Ottavio Tozzo (lo stesso che firmò nel 2004 il protocollo d’intesa con il Comune in qualità di presidente di Alisei Ong) comunica la sua rinuncia alla direzione dei lavori.

Lo scaricabarile

Da quel momento in poi si sono succedute le diffide di Banca Etica per ottenere il saldo del debito. I soldi da restituire non ci sono e per finire di costruire i 14 appartamenti (attualmente esposti allo sciacallaggio e alle intemperie) servirebbe un altro milione. In pratica il doppio del costo preventivato. Su Alisei Srl non ci si può rivalere perché è fallita. Alisei Ong se ne lava le mani, spiegando che si è trattato di “iniziative personali di soggetti privati non riconducibili a loro” e che, in quanto onlus, “Alisei Ong non era in condizione di gestire un progetto di autocostruzione e, men che meno, di curarne la fase realizzativa”. Peccato che il 20 giugno 2003 l’associazione aveva risposto all’indagine preliminare del Comune di Ravenna proponendosi “per la realizzazione dell’intervento e chiedendo l’assegnazione dei lotti di terreno individuati”. La Regione Emilia-Romagna non può intervenire finanziariamente, come è successo per gli altri cantieri di Savarna e Piangipane, perché servirebbe una cifra troppo esosa per completare gli appartamenti. L’amministrazione comunale sembra quindi intenzionata a riprendersi il terreno e demolire i due fabbricati messi in piedi con sacrificio e sudore dagli autocostruttori della cooperativa. “Mi sento truffato dal mio Comune perché non ha garantito la realizzazione del progetto, pur avendolo proposto alla cittadinanza con un bando – spiega Matteo Mattioli – Ho ricevuto attestati di solidarietà da Onu, Ue e persino da governi del Sud America, dove la pratica dell’autocostruzione è molto diffusa, ma nemmeno una risposta dalla politica di casa nostra”.